Sono andato in questi giorni a sfogliare alcuni vecchi numeri di “Inc.”. Ho aperto il primo (per me) numero, agosto 1998, comprato a Philadelphia – e ricordo bene il mio sentire di allora, confuso e curioso verso un mondo tutto da scoprire.
Mi ha colpito una citazione che avevo evidenziato:
A great example in retailing today: one would suspect that Barnes and Noble spends all its time looking at Borders and that Borders spends all its time looking at Barnes and Noble, when both of them should pay attention to Amazon.com.
Fa parte di un’intervista a Tom Stemberg, fondatore di Staples. All’epoca il mio interesse era rivolto verso Internet, che era un oggetto oscuro e fascinoso. Oggi quelle parole mi hanno ricordato, attraverso Flatlandia, luogo dove la tridimensionalità non può essere percepita da esseri che vivono in due dimensioni, l’atteggiamento di molti, troppi traduttori verso la traduzione automatica: un misto di ribrezzo e paura. E comunque con il pensiero che si può avere quando esce il modello nuovo della propria auto: “Il mio è superiore…”
Del resto anche Jiri Stejskal, presidente dell’ATA, nell’ultimo numero di “ATA Chronicle”, rivista tradizionalmente conservatrice da questo punto di vista, esprime un concetto tanto semplice quanto trascurato:
The translation landscape is changing. Like it or not, machine translation is here to stay and we should pay attention and find ways to make the best of it. Let us view it not as a threat, but as an opportunity.