Eh.
Questi giorni di vacanza sono stati un momento di immersione nelle mie montagne, queste montagne scabre che han fatto il mio corpo.
Qui perdi i riferimenti, le abitudini: la natura è l’universo mondo, fine. Il mondo è qualcosa di lontano, scrivere non sembra nemmeno più necessario. Ho lasciato che le sensazioni e non i pensieri dominassero – in maniera naturale, appunto – le giornate.
La colazione, uno dei momenti più gioiosi e pieni di significato – i cibi qui hanno un sapore differente, non c’è dubbio.
Le passeggiate, naturalmente, la scoperta di luoghi abbandonati, borgate intere e poi – nel bel mezzo del bosco – un signore che, seduto di fronte a casa sua, legge il giornale. Solitario, tranquillo, soddisfatto.
(Quand’è successo che tutte quelle persone, schiere di persone, sono state costrette ad abbandonare luoghi come questi?)
Le fotografie renderebbero forse meglio l’idea? Io penso a Calvino e al “Come osi paragonare un’immagine alla parola scritta” e mi sembra tutto chiaro. Le immagini non spiegherebbero le sensazioni, no.
I giochi, i compiti, la lettura, i momenti conviviali. Le notti così calme e serene, il silenzio assordante. E poi svegliarsi la mattina presto per caso e trovare solo per me uno spettacolo impressionante: il cielo limpido e la luna piena, tramontante sulle montagne innevate. Intorno a me il canto infinito degli uccelli. No, un’immagine non potrebbe spiegare queste sensazioni.
Oggi mia madre mi ha raccontato la sua Pasqua: le finestre erano aperte sul mare, la casa inondata di luce e aperta su fiori e verde. Intanto la Gemma cantava allegra i suoi tre anni. Ha aggiunto: non ci sono parole per descrivertela, la scena, perché era solo felicità.