Era l’ottobre del 2004, io tornavo dalla conferenza ATA, e sul pullman che mi portava all’aeroporto di Toronto incontrai un traduttore. Tra gli argomenti di conversazione ci fu un’idea che lui suggerì: disse che avvertiva la mancanza di una sorta di norma ISO, qualcosa che regolasse le conversazioni sia orali che scritte che avvengono in due lingue (es. io parlo in italiano e tu mi rispondi in inglese).
In effetti da allora è passato tanto tempo, la tecnologia è progredita tantissimo e codificare un’idea del genere sarebbe oggi quasi antistorico, nel senso che ci sono strumenti che risolvono in maniera efficace problemi simili. (Io mi ritengo piuttosto digitale ma sono “nato” nella carta e continuo a stupirmi per meraviglie tecnologiche che per un quindicenne sono pane quotidiano.)
E tuttavia l’utilità pratica di uno “strumento” del genere è innegabile: tu e io possiamo capirci anche parlando lingue diverse – questo mi sembra fantastico.
Quell’osservazione è rimasta dentro di me da allora, è un argomento che ho portato in diverse conversazioni ma non sono mai riuscito a pensarlo in maniera precisa e organizzata. Forse ciò dipende anche dal fatto che per me si tratta di una pratica costante: alle mie figlie non parlo mai in italiano, per dire, ma in italiano loro mi rispondono. In generale, comunque, credo che sia un fenomeno molto più diffuso di quanto si possa pensare.
Insomma è un’idea che reputo interessante: non sono mai riuscito a renderla organica ma mi piace oggi renderla pubblica, darle una forma scritta (per quanto grezza). Con tante grazie, ovviamente, a quel traduttore.