Mar 16

moleskine
Martina Borgnese è una traduttrice professionista e studiosa in pectore e, al momento, insegnante d’italiano all’Università di Birmingham. Per dirla con le sue parole:

Il mio proposito quotidiano è di fare della traduzione e dello studio non solo la mia ragione d’essere, ma anche la mia professione; nel frattempo, però, mi diletto ad insegnare italiano all’Università di Birmingham e a giocare a squash. Ecco quindi cosa sono: una studentessa da una vita e per tutta la vita, in uno spazio indefinito tra Italia ed Inghilterra… e traduttrice nel cuore.

Io le ho chiesto un pezzo, che spero il primo tra tanti, per Brainfood. Eccolo.

“Scelta”. Questa parola a me sembra avere un significato positivo.

“Scelta”. Più la rileggo e più mi sembra una parola positiva, ma non riesco a capire perché: se provo a definirla mi vengono in mente solo definizioni neutre.

Meglio controllare sul dizionario, magari mi sbaglio. Il primo dizionario che trovo in rete la indica come “indicazione o attuazione della propria preferenza per qlcu. o qlco. dopo una selezione, una valutazione delle altre possibilità disponibili”. Niente: pare che scelta abbia effettivamente un significato neutro.

Ma allora perché viene usata così tanto in quest’articolo che parla di Brittany Maynard e di eutanasia? A ben guardare, scelta compare con più frequenza rispetto ad ogni altra parola (ovviamente dopo gli articoli e le congiunzioni, ma questo è inevitabile, non li batte nessuno). Ci deve essere qualcosa che mi sfugge.

Le frasi che incontro percorrendo l’articolo sono molto chiare: “La libertà è nella scelta”, “la scelta va salvaguardata”, “bisogna procurare la scelta a tutti gli americani”. Questa parola non è per niente neutra! È un qualcosa da proteggere, che tutti devono avere, è un segno di libertà: scelta ha una connotazione positiva! Però c’è ancora qualcosa che non mi convince: nonostante quello che si legge sul dizionario, avere una scelta è un bene agli occhi dell’autore di quest’articolo e sembra che venga dato per scontato che anche i lettori siano d’accordo con questa posizione. Una scelta è una cosa positiva e non c’è bisogno di spiegarne il perché.

Allora significa che questa parola ha una duplice identità. La prima è quella nata nella norma: è l’identità fissata sulle pagine dei dizionari, quella comunemente condivisa dagli accademici, quella su cui non si può discutere. La seconda, invece, nasce nell’uso: è l’identità nascosta della parola, quella che si intuisce, ma che non è facile vedere e che solo in particolari contesti esce allo scoperto in modo chiaro, dando così conferma ad una percezione che è in realtà condivisa dalla maggior parte delle persone.

Questa intuizione però non basta: c’è bisogno di prove. Con una semplice ricerca su un corpus di testi inglesi, e senza più troppa sorpresa, scopro che gli aggettivi che si accompagnano a scelta con maggiore frequenza sono giusta, informata, eccellente, buona, popolare, ideale, sana, saggia, perfetta ed intelligente. È così che questa parola viene percepita – positivamente – al di là di quel che si legge su un qualunque dizionario: è la comunità a decidere il suo senso, sono le persone a determinarne la connotazione, fino ad arrivare ad un punto in cui attraverso una parola che sulla carta è neutra (ma che nella comune percezione non lo è affatto) l’autore riesce ad esprime ed a comunicare il suo giudizio, in modo velato, addirittura subdolo. E quando si parla di eutanasia, insinuarsi così nelle opinioni di chi legge non è cosa da poco.


Taggato:

Un commento a “Martina Borgnese, Una scelta non casuale”

Lascia un commento

preload preload preload