In poche parole, sabato è andata così:
A mezzogiorno ero al santuario, che è di fatto il punto di partenza per tante mie camminate, e ho iniziato la salita verso il monte Tibert, dove sono arrivato due ore più tardi. Su c’era la nebbia ma non mi importava: i pensieri erano puri, puliti, leggeri. E poi si cammina per camminare, mica per altro o per giungere a un punto preciso: si cammina per mettere un passo dopo l’altro, salire, scendere o quel che comunque ti presenta la strada. Si va, si va e basta.
Ho poi seguito il crinale fino al monte Crosetta, anche piangendo per la commozione di quello spettacolo immenso e assoluto. Già, non ho ancora metabolizzato il fatto che al mondo esista tanta bellezza.
A un certo punto ho scorto Narbona (L’Arbouna):
E in quel momento mi è stato chiaro perché ero arrivato fino a lì: per vedere quel luogo, pieno di fascino e di mistero, che non conoscevo. Non ho pensato, ho scarpinato giù per la montagna per cercare di arrivare in quel luogo lontanissimo. I piedi mi dolevano ma la passione è fatta così, non è fatta di pensieri.
Ragionandoci dopo ho capito che l’attrazione derivava dal fatto che lì si concentravano non una ma due mie passioni, le nostre montagne e i luoghi antropizzati abbandonati (perché cerco sempre di immaginarmi com’era la vita in un luogo quand’esso era animato e, appunto, vivente). Quando ad esempio grazie ad Alberto ho scoperto questo luogo ho subito pensato di volerci andare: cosa che feci dopo breve tempo con mia figlia piccola, per poi tornarci poco tempo fa in bici. Mi immaginavo le voci, la folla, il rumore, l’atmosfera.
Ma dopo mezz’ora abbondante di passi posticci mi sono reso conto che non ci sarei arrivato, non per questa volta almeno. E il cruccio di non poterci arrivare mi ha fatto venire in mente il cugino di Pavese (I mari del Sud):
Solo un sogno
gli è rimasto nel sangue: ha incrociato una volta,
da fuochista su un legno olandese da pesca, il cetaceo,
e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole,
ha veduto fuggire balene tra schiume di sangue
e inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla lancia.
Ecco, Narbona è quel cetaceo, l’andare del prossimo viaggio.
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