Apr 27

Avvertenza per il lettore: questo è un post molto personale. Cioè, credo che molto di quel che scrivo affondi le radici nella mia esistenza (giusto o no che sia, io so scrivere così), ma qui vado forse ancora un po’ più in là.

Faccio un sogno ricorrente, in questo periodo. Credo che sia il segno – la figura, per ricordare ancora una volta Auerbach – che la mezza età è già qui con me. Che ci stia per entrare, che ci stia entrando o che ci sia già entrato fa poca differenza. Nel sogno, che è articolato e piuttosto indistinto, ci sono tre personaggi: io da piccolissimo e papà e mamma da giovani. Probabilmente è di una sorta di eden felice, del tempo precedente la mia consapevolezza.

Mi sovviene Bernard de Chartres:

Siamo come nani sulle spalle di giganti, ed è per questo che possiamo vedere più cose di loro e più lontane: non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.

Poi, da sveglio, mi guardo allo specchio e vedo un uomo maturo con i capelli grigi, con il volto che cambia, con i segni dell’età. (Non che li voglia nascondere, semplicemente li vedo.) Più d’uno mi dà del lei, e infastidirmi non mi porta a nulla. E poi vedo papà e mamma e il loro milione di anni in due, il passo stanco, i movimenti che costano fatica, la mente meno brillante giorno dopo giorno.

Nel mio eden, in quel paradiso, non esiste il tempo. Ci sono io piccolo e inconsapevole, esisto e registro quel che vedo e tocco, null’altro. Non ho paure di nessun genere perché ci sono quei due giganti al mio fianco. Non sarebbe nemmeno pensabile, la paura.

Forse quel sogno è la mia maniera di dire “grazie”, un piccolo grazie a quelle due persone che hanno fatto per me tutto quello che hanno potuto e saputo. Forse è un modo di tornare indietro a quando il tempo non esisteva ancora, non aveva confini né limiti.

Il mio sogno ricorrente è espressione delle mie paure, ma anche dell’accettazione delle responsabilità che mi toccano. Si fanno le cose perché tocca farle, nient’altro. E mi sovviene quel proverbio:

Muore il padre, muore il figlio, muore il nipote.

Il mio sogno ricorrente è la mia imperfezione fatta persona, i miei limiti che accetto, i miei punti deboli che fanno parte di me.

Il mio sogno ricorrente sono io.


Un commento a “Un sogno ricorrente”

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