Io arrivo tardi alle cose, lo so. (Gianni diesel era uno dei miei soprannomi, e credo spieghi tante cose.) Sabato sono andato a cercare la tomba del mio professore di tesi, che forse ho trovato e forse no (perché c’è il nome della famiglia ma non il suo – il che non mi stupisce nemmeno tanto: conoscendone il rigore, l’austerità e lo stile potrebbe essere benissimo seppellito senza nome). Volevo – ma non avendo la certezza di averlo trovato non ci sono riuscito – chiudere un metaforico cerchio che si aprì tanti anni fa, quando mi incantai a sentire le sue lezioni su Dante (chiamarle lezioni è assolutamente riduttivo, peraltro). In una ricordo che io ero l’unico studente (quand’eravamo tanti eravamo forse una decina), e allora lui passò l’ora intera a leggermi le sue traduzioni in piemontese di poeti della latinità. Ed è stato proprio in quel momento che ho capito che la mia lingua/dialetto aveva dignità letteraria, ovvero andava più in là di un campanile o di un modo di dire, se un professore di università sentiva la necessità di volgere in quell’idioma carmi di duemila anni prima. Mi sovviene Ungaretti (I fiumi):
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
(E ricordo distintamente di aver ascoltato via radio la voce del poeta che leggeva questa magnifica poesia, che dunque per me è molto più di inchiostro su carta: è un filo di corrente, è carne viva.)
Ma insomma quel cerchio non l’ho ancora chiuso.
Comunque poi a quel punto il grande fiume mi chiamava. Ho attraversato con l’auto il ponte di Crescentino, e poi camminato per cinque ore e mezza sul Po, per lunga parte proprio sul greto e sulla riva e in parte sull’argine. È stato bellissimo – e avventuroso, come per esempio quando ho dovuto guadare un affluente; e anche spaventevole, quando sentivo e percepivo i cinghiali vicino a me (‘E se mi attaccano?’).
Ma anche qui pensavo ‘perché alle cose arrivo sempre tardi?’ Capisco che la natura è natura e non puoi combatterla, ma possibile che uno non possa accorgersi un filo prima dei suoi quarantott’anni che camminare è vita? Il diavolo sulle colline:
Mi tornò in mente nel buio quel progetto di traversare le colline, sacco in spalla, con Pieretto. Non invidiavo le automobili. Sapevo che in automobile si traversa, non si conosce una terra.
Mi sovvenivano gli om ad Po (gli uomini di Po – ne avevo accennato qui), quei personaggi mitici che fino agli anni Cinquanta vivevano in capanne in riva al fiume. Uomini certamente ai margini della società, ma non anche personaggi affascinanti? Non vorresti passare una sera con un tipo così, che magari non parla nemmeno la tua lingua ma un grammelot tutto suo – eppure chissà quante cose fantastiche potrebbe trasmetterti?
Un poco mi accompagnava anche, ancora, Pavese (Il ragazzo che era in me):
Va’ a sapere perché fossi là quella sera nei prati.
Forse mi ero lasciato cadere stremato di sole,
e fingevo l’indiano ferito. Il ragazzo a quei tempi
scollinava da solo cercando bisonti
e tirava le frecce dipinte e vibrava la lancia.
Quella sera ero tutto tatuato a colori di guerra.
Ora, l’aria era fresca e la medica pure
vellutata profonda, spruzzata dei fiori
rossogrigi e le nuvole e il cielo
s’accendevano in mezzo agli steli. Il ragazzo riverso
che alla villa sentiva lodarlo, fissava quel cielo.
Ma il tramonto stordiva. Era meglio socchiudere gli occhi
e godere l’abbraccio dell’erba. Avvolgeva come acqua.
L’acqua, l’acqua: l’acqua è sempre presente nei luoghi che adoro.
Però alla fine la sostanza è che queste “avventure” (stranezze, forse) io le cerco, io le voglio. Arrivo tardi alle cose ma la natura è questa e non si cambia, la accetto, va bene così.
Lungo le rive del grande fiume: https://t.co/MrKaJsUdXw [[la letteratura nel greto del grande fiume] https://t.co/5Sdvw5JMwd
[…] sono stato a visitare la tomba del mio professore di tesi, Riccardo Massano. (Ne avevo parlato qui, solo che ero nel posto sbagliato.) La prima cosa che ho pensato, o meglio che mi è venuta alla […]