Ott 04

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Ho ripensato all’ufficiale di Bergamo della settimana scorsa, e c’è una buca che mi è rimasta impressa. Ne parlo oggi perché penso sia di utilità per chi legge.

È la buca 14, ovvero la 5 del percorso giallo. È un par 4 di 375 metri, dogleg a sinistra. Il primo colpo è verso un fairway abbastanza largo, che però ha sulla sinistra delle piante altissime a chiudere il colpo; il colpo al green è in salita ed è generalmente ancora abbastanza lungo (il primo giorno dopo un bel drive fu ad esempio un ferro 5).

Ebbene, la 14 del terzo giro è quella che ricorderò come emblematica di una gara intera, ovvero di tutte le 54 buche fatte in quei giorni. Il mio drive è decisamente sulla sinistra (solito problema dei fianchi che ogni tanto partono in ritardo), prende in pieno le piante e si ferma nel rough, a circa 200 metri dal green. Da quel punto il green non è visibile, non c’è maniera per me di raggiungerlo. Allora il ragionamento è: tiro un ferro 8 a uscire e piazzarmi in posizione favorevole in centro pista, da lì un buon approccio mi garantisce comunque il bogey e magari il par.
5 giallo
Il secondo colpo non è niente di che: parte pesante e non fa troppa strada. Sono a 115 metri dalla bandiera, in centro fairway e in leggera salita. Fino a questo momento ho tirato due colpi decisamente insufficienti, ma il terzo colpo – un ferro 9 – è fatto proprio di un’altra pasta: il contatto è pulito e cristallino, il suono pieno e rotondo, appena la colpisco so che è un ottimo colpo. E infatti atterra a un metro e mezzo dalla bandiera, sulla destra e poco oltre la buca, con un leggero spin.

Il putt per il par è in lieve discesa, con pendenza non pronunciata verso sinistra; cionondimeno impegnativo anzichenò. È comunque un ottimo putt, che entra per un par che mi dà grande soddisfazione e mi dice – il succo del discorso – che due colpi mediocri seguiti da due colpi ottimi fanno generalmente un par. Quindi mai scoraggiarsi.

Poi parlano del golf come metafora della vita.


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