Rapallo e la mente


Non ho mai amato il campo di Rapallo: ma non perché non sia incantevole, piuttosto per deficienze mie, perché ne sono sempre uscito sonoramente sconfitto (qui il racconto dei disastri di due anni fa).

Dal Trofeo del Tigullio di quest’anno ho ricavato però delle indicazioni – sia fisiche che mentali – su cui lavorare, che vanno ad aggiungersi alle modifiche allo swing che sto facendo (peso maggiormente sui talloni, polso meno chiuso all’apice e fianco destro più piegato nella discesa a liberare spazio per il bastone: il tutto per correggere un pull che mi affligge da tempo).

La parte fisica è riferita soprattutto al primo giorno: dopo 11 buche ero +6, che è un risultato certo non brillante ma nemmeno disastroso. Però, a partire dal par 5 della 6 (ero partito dalla 13) non riuscivo più a controllare i movimenti e ho terminato con un disastroso +9 nelle ultime 7 buche, senza nemmeno un par. Soprattutto, ricordo la sensazione provata nelle ultime due buche, la stanchezza totale che mi impediva quasi di vedere (be’, sto teatralizzando un pochino…), la voglia di andarmene e l’idea che un par o un bogey non potevano fare alcuna differenza.

E dunque la lezione qui è: più corsa e più palestra con esercizi specifici (e anche un Supradyn negli spogliatoi – questo l’ho copiato da Andrea Perrino che ne ha parlato qui – e un Polase durante la gara), perché alla 18 devo essere stanco sì ma non uno zombie!

Domenica invece è stato il giorno della mente: partivo ancora dalla 13 e le prime 11 buche sono andate sostanzialmente bene (un +4 frutto di un doppio bogey frutto a sua volta di un singolo errore e due bogey comprensibili: al par 3 della 18, 214 metri da far tremare le vene e i polsi e poi alla 4, che è un par 4 non lungo ma complicato). Poi sul tee della 6, un par 5 di una semplicità estrema, ho fatto un’osservazione ai miei compagni di gioco che non solo non avrei dovuto dire, ma nemmeno avrei dovuto pensare: “A partire da questa buca ieri ho fatto solo dei bogey e dei doppi”.

Mmmmm.

Pensandoci ora, capisco che l’intento era certamente quello di mettere le mani avanti, di proteggere il risultato acquisito: pensiero che non può che essere foriero di disastri. È stato dunque un errore strategico, soprattutto se confrontato con episodi precedenti. Per esempio all’altro par 5, la 4, avevo sbagliato il drive e poi tirato il terzo da 180 metri, un ibrido terminato a 7 metri dalla bandiera e a pochi centimetri dal green. Uno dei miei compagni di gioco mi ha chiesto se mi dava fastidio il suo marchino e io senza pensare ho risposto di no, “tanto io questo lo imbuco”. Poi sono finito a pochi centimetri dalla bandiera ed è stato un par molto soddisfacente. In quel caso non era importante il fatto di imbucare o meno, era fondamentale il fatto di essere convinto di tirare per imbucare e non per avvicinarmi all’asta.

Insomma quell’osservazione mi ha poi portato ad un +10 finale che non è certamente da incorniciare. Ma non ha importanza, l’importante è l’indicazione che ne ho ricavato, l’idea che devo lavorare tantissimo sulla mia forza mentale.

Quindi i piani di lavoro per i prossimi mesi sono molto chiari: tecnica, palestra e mente. E non importa se l’handicap è in risalita: il processo di apprendimento segue una spirale, e per migliorare devi accettare il fatto che prima dovrai peggiorare. Dai forza!

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