Mag 16

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(Questo post si è scritto da solo, per intero, mentre camminavo.)

Scioccamente, il mio cruccio più grande di venerdì mattina, quando dovevo decidere se venire qui sabato oppure domenica (per domenica le previsioni parevano migliori), è stato il meteo.

(È da un po’ che medito un post su come è cambiata, probabilmente non in meglio, la nostra percezione del tempo da che ciascuno di noi ha il meteo sempre e comunque in tasca.)

Comunque alla fine mi sono detto what the fuck (o forse era navigare necesse, vivere non necesse, che è un tantino più elegante) e ho scelto il giorno che preferivo (sabato) perché ho pensato: il tempo faccia ciò che vuole, io vado e basta.

Ho dormito nel mio rifugio tra i monti. Alle 10 ho lasciato l’auto nell’ultimo posto utile prima della neve e ho cominciato il sentiero:

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(Parvetto – Fauniera – Colle dei Morti – Rifugio Trofarello)

Salendo, via via i pensieri si pulivano. Mi sentivo più leggero, più vero, più “Gianni”. Mi accompagnavano marmotte e silenzio. E i miei monti.

Dopo il sole è venuto il nevischio. È stato bellissimo ugualmente, o forse anche un poco di più.
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Parallelamente, buona parte del percorso era innevato, da pochi centimetri a mezzo metro. Fatto cui non avevo pensato, e sì che ero stato avvertito; ma alla fine il fatto di aver camminato sulla neve e non sui prati e sulle rocce mi ha fatto apprezzare ancora di più la giornata.

Arrivato alla statua commemorativa di Pantani mi è sembrato di essere Foscolo sulla tomba del fratello. Io e lui, solo silenzio intorno.

Sono ridisceso con la pace intorno a me. Al Santuario di San Magno, ripresa l’auto, sono stato di nuovo al cimitero, e di nuovo mi ha preso un desiderio di dormire per quattro generazioni almeno.

Apr 25

Non è che oggi non abbia niente da dire, ma ho diversi argomenti di cui voglio trattare che sono però mezzi cucinati oppure anche solo abbozzati, e dunque non mette ancora conto parlarne.

Oggi era un giorno di sole, la luce era limpida e io ho preferito fare altro, non ho pensato a questo blog, dove comunque per mio impegno verso me stesso ogni lunedì del mondo ci deve essere un pezzo, anche poco significativo. (“On those days I just lower my standards”, come diceva il poeta William Stafford agli amici che gli chiedevano, visto il suo personale impegno a scrivere poesie tutti i giorni, come facesse nei giorni in cui non era particolarmente ispirato.)

E poi non so, credo fosse Madame Geoffrin (Marie Thérèse Rodet Geoffrin – ma onestamente non ho voglia di andare a verificare) che scrisse:

Non dovremmo mai lasciare crescere l’erba sul sentiero dell’amicizia.

Ebbene, questo blog è come un amico per me, un compagno di avventure e di pensieri. A volte ci sono cose che si preferiscono fare e lui passa in secondo piano ma il lunedì almeno due righe qui ci devono essere; e se non passeranno la prova del tempo pazienza.

E del resto, come ricorda l’amico Eugenio citando Sturgeon,

Il novanta percento di tutto è spazzatura.

(Ma averlo incontrato di nuovo ieri è stato bello, e lo ringrazio.)

Apr 04

GMT
Cioè, non è che io possa dire di averlo conosciuto bene come chansonnier.

L’avevo “incontrato” tre anni fa grazie a questo blog, col cui autore, Marco Zanette, avevamo fatto un piccolo progetto (lui aveva scritto un pezzo splendido e informatissimo su Maria Giuana – non è la grafia piemontese esatta, ma è per capirci) e io avevo tradotto in piemontese la parte che “ci” riguarda.

C’era un video, su YouTube, che poi è stato cancellato (non so perché), dove Gianmaria Testa cantava Maria Gioana (sì, è questa la grafia precisa). Una versione da fare accapponare la pelle, un canto che mi portava direttamente al me bambino, quando al ritorno dalle rare gite la mano di mamma mi accarezzava i capelli e quello stato di dormiveglia (più dormi che veglia, per la verità) lo porto dentro di me come un momento mitico nel senso etimologico del termine, come un assoluto, come un per sempre.

Altri, in tanti, ben più competenti e informati di me, hanno scritto cose bellissime in questi giorni su Gianmaria. Questo pezzo mi ha colpito sopra tutti. Da lì sono arrivato qui, e poi qui.

E da lì sono andato dappertutto, perché anche se non lo conoscevo bene la poesia non ha confini, non si può fermare. E la terra tanto meno. L’essenza. Cavalimor. Le parole di un poeta, la sua vita – queste mie parole sono solo un ricordo abbozzato, un piccolo grazie, ma di fatto non diranno nulla; però le sue sì, e come.

Cioè insomma niente, non ho molto da aggiungere. Ma questo volevo dirlo, ecco.

Mar 28

bosco
Ho camminato tanto per le “mie” montagne in questi giorni. Ho percorso sentieri sconosciuti e mi sono addentrato in percorsi mai visti, mi sono perso nei boschi (non è che non mi piacciano le cose lineari, è che proprio non sono capace a seguire una strada diritta).

Non ho pensato molto – pensare, almeno qui, non serve a molto –, ho soprattutto ascoltato. Ascoltato lo stropicciarsi delle foglie sotto le scarpe, ascoltato il concerto della primavera che è ormai prossima, qui; ascoltato il vento che mi riporta alla memoria i miei giovani anni, quando immemore andavo percorrendo la mia via, ascoltato il gorgoglìo dell’acqua nelle bialere e nei combaj.

Pavese, come spesso accade, mi accompagnava. Il diavolo sulle colline, soprattutto:

Mi tornò in mente nel buio quel progetto di traversare le colline, sacco in spalla, con Pieretto. Non invidiavo le automobili. Sapevo che in automobile si traversa, non si conosce una terra.

E poi, anche, come cosa bella ho visto piccolissimi segni di un mondo che, dopo essere finito, rifiorisce contro ogni logica e ogni convenienza: lo vedo nelle case che vengono ristrutturate (Chi vuoi che venga da queste parti, oggi? Eppure…), nella testarda convinzione di persone di buona volontà di far vivere un rifugio. E il punto non è tanto che quel rifugio merita di vivere perché può contribuire al benessere, in senso latissimo inteso, di una comunità, no: il punto è fare delle cose perché questo dimostra a noi stessi che siamo persone di buona volontà e che sappiamo guardare oltre l’oggi, oltre noi stessi.

Insomma qui c’è una natura che mi accompagna e c’è un mondo che, a ben vedere, inizia a rifiorire, proprio come una primavera dello spirito. Non importa se domani io sarò ancora qui a registrare quel che accade in queste bande: tutto ciò è bello e magico, ed è sufficiente.

Mar 21

fioritura
Guardo questo diario, sfoglio queste pagine, questi sette anni e mezzo di pensieri e lo vedo ondivago – in determinati periodi le idee e gli spunti fluiscono copiosi, in altri è tutto un rigirarmi nei concetti che già conosco, qualcosa che so non portare da nessuna parte.

(Ah, che invidia, la leggerezza di uno Chagall, la visione di gioco di Platini, la scrittura di Pavese, l’invecchiare lento e maestoso del Barolo, il Po che scorre placido, dimentico di qualunque cosa accada o non accada. Che invidia.)

Io registro con sincerità. A volte, è vero, non ho molto da dire ma lo dico lo stesso perché è importante per me tenere il filo delle cose qui. A volte è un filo di poca sostanza ma è questo il suo dipanarsi.

Da un po’ di tempo l’idea della mezza età mi accompagna, e questo credo comporti l’accettazione dei limiti e del tempo che passa. Il passare delle stagioni, l’entusiasmo che si fa esperienza. Accettare quel che non posso cambiare, soprattutto accettare che quello che faccio può anche non avere un senso, uno scopo, un fine e un filo logico. Può non avere importanza, qualcosa che accade e finisce e basta.

La neve nel mio rifugio tra i monti se ne è praticamente andata. (Lo so perché sbircio quasi tutti i giorni la webcam sul sito del comune, ormai una sorta di rituale per me.) Ovvero c’è un’altra stagione alle porte, altre faccende, altre sfide, altre vittorie e sconfitte, altre cose che possono anche non significare assolutamente nulla ma sono da accettare anche loro.

Intanto nel giardino davanti a casa è tutta una fioritura, e questo è un bene.

Mar 14

pista abbandonata di Morano sul Po

pista abbandonata di Morano sul Po


Lo sport è “solo” una metafora.

Sono nelle mie seconde nove, forse già alla 12 o alla 13, perso in mezzo al campo chissà dove.

I limiti che mi prefiggo di superare non vogliono essere dei record, sono “semplicemente” dei confronti con me stesso. Dei segni del mio essere vivo.

È questo che mi spinge a cercare il miglioramento nel gesto tecnico golfistico, a correre anche quando non ne avrei punto voglia, a fare kilometri in bici, ad andare in palestra, a camminare per ore anche in mezzo ai rovi (anzi proprio in mezzo ai rovi, col burrone davanti e la montagna dietro, le risposte vengono anche più chiare).

Ho scritto un libro che probabilmente contiene parole sensate ma la risposta non esiste, ciascuno la trova per sé.

Lo sport è “solo” una metafora. Voglio raddoppiare i miei sforzi perché il corpo cambia, perché finita la 12 arriva la 13 e un giorno, senza che io me ne accorga, qualcuno metterà per me l’asta in buca alla 18. Fine.

È per questo che voglio correre di più: non ho bisogno di dimostrare delle cose a chicchessia, solo dirmi delle cose.

Correre più forte. Tirare più lungo. Farla fuori dal vaso.

Mar 07

A mia conoscenza, la settimana 1-7 marzo non ha un nome preciso, è una settimana come tutte le altre; ma dovrebbe.

Dovrebbe averlo, perché è in questi giorni che in natura occorre il fenomeno più bello dell’anno: finisce l’inverno e la primavera ha inizio.

Ne ho parlato l’anno scorso, ricordando anche il colore delle foglie sul Po che proprio in questi giorni mutava. Mutava allora come ora.

I segni sono piccoli dapprima. Come questo:
gemme
Ovvero le prime gemme nel giardino dirimpetto. Che sono un segno sicuro dell’imminenza di una nuova stagione.

E più forti poi. Come quanto ti svegli un mattino e senti che l’aria è differente, che il freddo se ne è andato. E allora ti sovviene Sinisgalli:

Un lampo di beatitudine
non offende il nostro vicino.
Lui dorme sulla panchina,
il passero gli vola intorno.
Lui sogna il lebbroso
ma sentiamo che il suo male
non è contagioso.

Feb 29

Daniel
Gli agenti del cambiamento sono un vecchio pallino di Daniel Tarozzi.

Ma ora, ora le cose si fanno serie. Si parla di visione, di dare una mano concreta a costruire una nuova Italia. Di aprire il portafoglio, di donare del tempo per questo progetto.

Daniel spiega tutto qui.

Io ho aderito subito, perché Daniel ha la mia fiducia totale e incondizionata (fiducia che non viene dal nulla, ma da tutto quanto ha dimostrato di saper fare in questi anni). Con l’età che ho, gli anni che pesano su queste spalle come rami pieni di neve, non sono sicuro che tutto questo porterà effettivamente a qualcosa (ho visto tante visioni e promesse finire in bolle di sapone, e in questo senso “la storia non è magistra / di niente che ci riguardi”, per dirla con Montale).

Ma proprio la mia età, la mia età di mezzo diciamo, mi dà la forza per credere a questo progetto, alla sua visione 2040.

(Ripenso alla mia visione del mondo quando pavesianamente ero un “giovane dio” e volevo costruire una grande azienda di traduzioni con tante persone da coordinare e motivare per fare, creare, produrre: non ho fatto tutto quello che volevo, anzi molte cose non le ho fatte, e certamente ho commesso una montagna di errori; ma qualcosa di buono, insomma, rimane. E tutto parte prioprio da una visione.)

Perché come ho detto più volte il mio vero valore aggiunto pubblico è nella descrizione di sensazioni: e le sensazioni che questa visione mi dà sono assolutamente positive.

I numeri crescono, il denaro raccolto aumenta, le ore offerte anche, e questo è del tutto positivo. Vada come vada, io delego volentieri una parte del mio futuro a Daniel.

Feb 22

… che poi la figura del vecchio saggio mica mi si addice. Solo perché ho scritto un libro sul tema della felicità o perché ne parlo spesso qui non significa che le mie esperienze siano di qualità “migliore” rispetto a quelle di chiunque altro. Sono, semplicemente sono.

Per me la sostanza è duplice: condividere e raccontare. Condividere, perché poter far sapere che ho scoperto che si potrebbe fare così, che la tal cosa funziona (almeno per me) può essere d’aiuto o di conforto a chi legge. Raccontare, perché mettere su carta i pensieri serve a ordinarli, a dare un senso alle cose che poi, alla fine delle fini, non hanno senso alcuno. Non posso fregar la morte, insomma, ma posso morire da vivo.

E il sugo di tutta la storia, alla fine, sono le sensazioni. Ieri ho camminato lungamente nel sole, 16 chilometri di colline, stradine e per la mia cittadina, e il sugo sono i pensieri che quel camminare produce. Il sugo sono le cose che voglio fare ancora, correre tantissimo e tirarla lunghissima e dritta sul campo da golf e attraversare la Corsica a piedi e tutte queste esperienze senza significato – e scrivere e descrivere le sensazioni provate lungo la via. Jakob Burak:

Il segreto del successo, secondo me, è che non c’è nessun segreto, e chiunque arrivi in cima si accorge che non c’è nessuna cima.

In cima non c’è nessuna cima: ecco questo, per esempio, l’ho scoperto.

Gen 25

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Nel post di lunedì scorso ero stato – volutamente – provocatorio, perché la mia idea è che bisogna dare degli scossoni e non solo delle piccole spinte per provocare il cambiamento.

Ma che cosa significa, questo, in pratica? Che cosa si potrebbe fare per migliorare la propria condizione economica al fine di migliorare il proprio stato generale di benessere? È una domanda legittima, cui ora cercherò di dare non delle risposte (impossibile), ma qualche indizio.

Parto dalla mia definizione di ricchezza:

La vera ricchezza è data dal tempo che hai a disposizione, non dal denaro.

Siamo sulla stessa pagina o no sul punto? Se no, non ha senso proseguire.

Se invece siamo intesi che è così, ne consegue che il lavoro è uno strumento per liberare il proprio tempo. E dunque condizione necessaria per la vita 2.0 (lo dico semplificando) è quella di lavorare per conto proprio. Il vero rischio è infatti essere un dipendente, ovvero ciò che un tempo appariva un rifugio sicuro. (Parlo per me, ma nonostante tutti gli errori fatti sino a qui – e chissà quanti ne commetterò ancora – mai e poi mai se potessi tornare indietro sceglierei di lavorare alle dipendenze di terzi.)

E il concetto di impresa, in questo contesto, significa per forza microimpresa, ovvero un’attività che dia da vivere ma non richieda ottanta ore settimanali per starle dietro. Sì, perché altrimenti si perde di vista l’obiettivo fondamentale – il benessere del qui e ora – e si ritorna a lavorare per i piani di qualcun o qualcos’altro (la propria azienda, in questo caso).

Su questo punto mi viene in aiuto Tim Ferriss, e nello specifico questo libro, che dice in maniera magistrale ciò che c’è da sapere sull’argomento. Quindi ne suggerisco una lettura critica. (Questa mia recensione può dare qualche spunto.)

E aggiungo questo: liberare il tempo non vuol dire dimenticarsi del lavoro. Io quando sono sul lavoro sono concentrato al 100% in quello che faccio, impegnato e determinato a dare il meglio e il massimo ai nostri clienti. Anzi, devo dire che forse – ma non so giudicare con precisione – i nostri clienti ottengono più da me oggi rispetto a quanto ottenessero dieci anni fa, quand’ero al mio apice nel sentirmi un imprenditore. Oggi il mio tempo è più corto, la candela è già bruciata per un pezzo troppo lungo, e allora ogni attimo di tempo lavorativo è professionale al 100%.

Questi sono alcuni punti che considero assiomi fondamentali in questo percorso. Come sempre, i commenti dei miei venticinque lettori saranno più che graditi, e serviranno ad accrescere la conoscenza e sperabilmente il benessere comuni.

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