Io che da grande volevo fare il golfista di professione…


… ma quanti abissi ci sono tra me e loro? Vediamo un po’:

– un primo abisso c’è tra me, che posso essere ritenuto un ottimo dilettante, e un giocatore della Nazionale o comunque un ragazzo con handicap intorno allo 0 (il fatto che anagraficamente potrebbe essere mio figlio conta, certo, ma non è una scusante);

– un secondo c’è tra un ragazzo come quello e un giocatore professionista, per esempio dell’Alps Tour, qualcuno che gioca sempre intorno al par o sotto ma che, alla fine dell’anno, ha magari guadagnato 20mila euro in premi spendendone 30mila tra alberghi, viaggi, entry fee eccetera;

– un terzo abisso c’è tra quel professionista e un giocatore del tour maggiore;

– un quarto (e ultimo!) abisso c’è tra un giocatore del tour e un vero fenomeno.

Quattro abissi. (In effetti mi basterebbe passare i primi due…)

Il tempo che io dedico al golf giocato settimanalmente può essere di dieci-quindici ore; che è una gran fortuna ed è obiettivamente tantissimo, se paragonato a quel che può fare qualcun altro come me con lavoro e famiglia, ma non è nulla rispetto ad un vero mestiere. Dieci-quindici ore la settimana non creano l’eccellenza, l’eccellenza si crea preparandosi con tutta calma per essere un cristallo. Questo io l’ho fatto nella scrittura, per il golf siamo ancora lontani.

Del resto, prendiamo ad esempio la palestra, ovvero uno dei tanti aspetti che compongono la professione, e vediamo quel che dice Massimo Messina, preparatore atletico, fisioterapista e osteopata, a proposito di Matteo Manassero sull’ultimo “Golf & Turismo” (settembre 2012, p. 102):

Matteo Manassero […] viene da me massaggiato per almeno 30 minuti in modo attivo al mattino prima della gara […]. A gara conclusa invece, Matteo (almeno il lunedì, martedì e mercoledì) esegue il suo allenamento tipo in palestra o al di fuori, che normalmente consiste in una seduta di circa 30-45 minuti. Successivamente viene sottoposto a un trattamento osteopatico per correggere le disfunzioni che il golf crea in lui ogni volta, oltre a degli esercizi di stretching tenuti, il tutto per circa 30-40 minuti.

Insomma un giocatore di tour dedica alla cura del corpo quasi tanto tempo quanto io dedico al golf. E passa otto ore al giorno al golf, tra allenamenti e campo, com’è normale e logico che sia. (Si veda ad esempio il programma di Tom Lewis su “Golf Today” di novembre 2011, p. 62: una giornata-tipo è fatta di otto ore di golf e una di palestra.)

E dunque i giocatori del tour non sono solo bravissimi, ma di più. Gli abissi si spiegano tutti (e si veda anche qui). Talento, partire da ragazzini, passione infinita, dedizione, lunghe ore in solitaria quando i tuoi amici sono a divertirsi…

E poi anche le imprese molto più strutturate della mia fanno fatica. Prendiamo Dan McLaughlin, ad esempio: sì, l’idea di mettere insieme 10mila ore di pratica per arrivare all’eccellenza attrae, ma poi la curva dell’apprendimento ad un certo punto si appiattisce e lì le cose si fanno complicate…

Insomma, qual è il sugo di tutta la storia? Si può dire in tante maniere, ma lo spirito lo si coglie bene dal breve dialogo tra Ben Hogan – uno che notoriamente era parco di parole con i suoi colleghi – e un giovanissimo Gary Player, al termine di uno US Open vinto da Hogan e in cui Player era arrivato secondo (l’episodio è raccontato dallo stesso Player nell’ultimo “Golf Today”):

– Bravo ragazzo, ben fatto; diventerai un grande giocatore. Esercitati tanto.
– Certo, pratico almeno quanto fa lei, signor Hogan.
– Bene. Ora raddoppia.

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