Le prime nebbie e un long term goal

Photo credit: Benjamin Oakley Wilson

Photo credit: Benjamin Oakley Wilson


Adoro questo periodo! Certo ha le sue difficoltà – le poche ore di luce soprattutto, perché come diceva Ben Hogan,

The only thing golfers really need is more daylight. There isn’t enough time during the day to practice and play, to key one’s game up to where it should be.

Tuttavia ha dei vantaggi innegabili, primo tra tutti il fatto che la lontananza forzosa dalle gare (per me la prossima sarà il Trofeo Sanremo di fine gennaio) lascia molto tempo per lavorare sulle proprie debolezze.

E il punto, ho capito, è proprio questo: lavorare sulle proprie debolezze.

Ciò dipende dagli obiettivi: se l’obiettivo è arrivare ad un livello di gioco “medio” (qualunque cosa ciò voglia dire), allora il principio di Pareto, magistralmente spiegato da Tim Ferriss, che è il mio nume tutelare in fatto di lavoro (in sintesi: lascia andare i dettagli e concentrati sul 20% davvero essenziale per quello che fai), illustra chiaramente un fatto: che è mooolto meglio concentrarsi sui propri punti di forza lasciando perdere i dettagli. (Quindi se sei 18 e vuoi diventare 12, per dire, vai agli approcci e concentrati sul putt e trascura il resto (drive in primis, che incidentalmente è il suono principe che si ode in qualunque campo pratica).

Ma nel mio caso, dove l’obiettivo di medio periodo (12 mesi) è diventare un “2 virgola stabile”, quello di lungo (3-5 anni) diventare scratch e quello di lunghissimo (8 anni) diventare il golfista migliore che io possa diventare, allora le cose cambiano. Allora non basta più mettere l’accento sui punti di forza, ma bisogna – necesse est – andare a curare i punti deboli. Ovvero:

– guadagnare 10 metri col drive senza perdere in accuratezza;

– migliorare le statistiche coi ferri 5, 6 e 7 e i due ibridi.

I numeri precisi non sono importanti qui, e nemmeno le statistiche (sul concetto di statistica sto riflettendo molto, in seguito soprattutto alla lettura di questo libro, sebbene mi occorra ancora tempo per metterne in pratica i dettami); il punto è che sempre più mi è chiaro che devo proseguire sulla strada della deliberate practice.

La strada è questa, ed è corretta. la deliberate practice è faticosa, it hurts. Non è piacevole: fa male. Ieri ho fatto un’ora di pilates, poi un’ora e mezza di pratica concentrata e infine quaranta minuti di corsa con fartlek con Luciano, il mio preparatore atletico (e grande amico). Verso la fine ero stanchissimo, ma so che è necessario per il raggiungimento degli obiettivi, dunque lo faccio e basta.

E l’autunno, le nebbie, le temperature calanti e le ore di luce declinanti sono uno sfondo meraviglioso per questi pensieri e questa pratica.

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