Castelconturbia, o della metafora (della vita)

Prima di lasciare i miei bastoni a riposare qualche settimana e rinnovare lo spirito nella mia seconda patria, la Corsica, ho preso parte lo scorso fine settimana alla patrocinata di Castelconturbia, i cui risultati – quantomeno per me – si sono rivelati ancora una volta (casomai ce ne fosse bisogno) una metafora della vita.

Primo giorno: arrivo tutto caricato, faccio tutta la mia routine di preparazione tecnica e mentale (e il giorno prima avevo fatto la prova campo): col risultato che ne tiro 91, con un quadruplo bogey alla 17 dove tra il caldo e la mia incapacità di tirarmi fuori dai pasticci mi scappava persino la voglia di finire la gara.

Sono quindi in bassa classifica e senza nessuna speranza per il giorno dopo. Però la sfida con me medesimo è avvincente, non posso tirarmi indietro. La differenza è che la prendo mooolto più alla leggera: arrivo al circolo mezz’ora prima della partenza, non passo nemmeno dal campo pratica ma faccio solo qualche minuto di stretching, dieci minuti di putt e un po’ di preparazione mentale. Ed ecco i risultati:

colpi: 79 (1 birdie, 9 par, 8 bogey)
fairway: 62% (8/13)
GIR: 61% (11/18)
putt: 36 (di cui 3-putt: 3) [per me sono tantissimi – 5 sopra la media –, ma i green di Castelconturbia non sono una passeggiata di salute per nessuno]
punti Stableford: 38
nuovo handicap: 5,3

Quel che mi rimane di questa giornata è, in una parola, la sensazione di calma olimpica che mi ha accompagnato da appena sveglio al termine della competizione, quell’oggetto fantomatico, evanescente e meraviglioso che si chiama flow e che tutti i golfisti, consapevolmente o meno, ricercano sempre nelle loro prestazioni. Una metafora della vita, appunto.

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