“What gets measured gets done” è uno dei mantra della gestione ottimale di un’azienda, ma si applica anche al golf. La differenza è che il golf è in parte scienza e in parte arte; cionondimeno i numeri aiutano a capire i fenomeni, e come!
Scopo di questo articolo non è dunque “convincere” il lettore di questo fatto, che do per assimilato, ma presentare uno strumento tra i tantissimi disponibili che credo utile alla bisogna.
Mi sono imbattuto qualche settimana fa, tramite la lettura di questo libro, nel Tucker Short Game Test, una prova – ideata da Jerry Tucker – che serve a verificare in maniera completa lo stato del proprio gioco corto, e di conseguenza scoprire quali sono le aree che richiedono miglioramento nell’ottica finale di abbassare lo score.
È un semplice foglio. Un esempio si trova qui. La versione contenuta nel libro di Gio Valiante è qui.
La sostanza è questa: si effettuano cento colpi (coi wedge, col pitch e col putt) che simulano tutte le condizioni che virtualmente possono capitarci in un giro in campo dalle 90 iarde in giù. Per ogni colpo che raggiunge l’obiettivo (esempio: putt imbucato da 9 piedi, messo dato da 20, uscita dal bunker messa entro i 4 piedi da 20, wedge messo entro i 9 piedi da 90 iarde e così via) si ottiene un punto, e il risultato finale sarà dunque un numero compreso tra 0 e 100 che esprime il nostro handicap virtuale sul gioco corto.
Ma di più: saranno immediatamente chiare le zone specifiche del gioco corto su cui occorre lavorare.
Alcuni dettagli su come effettuare il test di trovano qui (tra parentesi: ho già parlato altre volte di John Graham, ribadisco che è un maestro da seguire).
E ora via, a misurare.
Commenti
Tucker Short Game Test http://t.co/Rx37FvqdF2 [cento colpi prima di andare a tirare]
Ciao Gianni,
avevo già trovato in rete dei test simili a questo ma alla fine non ho più fatto niente. Fino al mese scorso il campo pratica dove mi alleno aveva l’erba alta 30cm ovunque, anche nel bunker, ora una zona viene curata meglio, tagliando l’erba è stato creato una specie di green, ed il bunker è utilizzabile, manca ancora il putting green però qualche test posso provare a farlo, non domani perchè mi sono appena ustionato per bene indice e anulare della mano destra con la teglia della pizza… bruciaaaaaaa!!!
Mi piacciono i tuoi racconti, Mauro!
Comunque in generale vedo che le zone approcci sono le più trascurate nei campi pratica (e nei campi in generale), mentre sono fondamentali per imparare davvero.
Mi colpì, anni fa, la descrizione di un campo progettato da Dave Pelz fatto solo di buche corte (un po’ come i nostri pitch&putt, però fatto come si deve). E ricordo anche una pubblicità di qualcosa del genere su un “Golf Digest” di tanti anni fa.
Però siamo alle solite: il nuovo driver RocketBallXYZ da 500 euro si vende meglio che una “noiosissima” lezione dal bunker, seguita da tante ore di pratica e ripratica e strapratica.
Ma che lo dico a fare? 🙂
Ciao Gianni,
sei troppo gentile, grazie perchè mi sopporti.
Non ho la tua esperienza però i pochi campi che ho visto hanno aree di pratica per il gioco corto assenti o strutturate male.Ad esempio i putting green sono sempre corredati di cartello “No chipping”, quindi dove cavolo posso praticare questo colpo salva colpi. Nei video, sulle riviste e nei manuali hanno i campi a loro disposizione, loro possono fare come vogliono, noi no!!! Sono anni che sogno di poter praticare chip da diverse distanze con i vari ferri, ma appunto è solo un sogno!!! Il max che sono riuscito a fare è stato chippare verso un cerchio sul terreno immaginando poi il rotolamento della pallina. Secondo me è una congiura per impedirmi di diventare troppo bravo!!! 😉
Io per i chip faccio così: lo faccio un quarto d’ora verso l’imbrunire quando non c’è nessuno, o i pochissimi che ci sono sono malati come me e quindi tollerano questo atto non esattamente permesso. (Ho provato a dire al circolo che i chip sono importanti, che non rovinano la superficie ecc. ma mi pare di parlare con i sordi.)