Il succo è questo: l’anno scorso il mio handicap è sceso in maniera decisa perché la mia pratica è cambiata.
Ovvero: sono riuscito a diventare molto meno meccanico e a basarmi molto di più sulle sensazioni. Non è, per fare un esempio, questione di tirare cento ferri 6 tutti uguali, tutti dritti, tutti più o meno perfetti, quanto piuttosto di coprire una medesima distanza con dieci bastoni differenti.
Provare, ad esempio, a fare 100 metri col drive, o a colpire di volo un obiettivo posto a 40 metri col ferro 6. Per esempio.
La mia pratica di oggi è molto più creativa. Questa è una chiave fondamentale per andare oltre, per superare i propri limiti.
E poi c’è la parte mentale, naturalmente. Per esempio, il passare da un handicap tre virgola ad uno due virgola è per il 90% lavoro mentale. Ci sto lavorando da tempo, è il mio obiettivo del momento; seguo l’insegnamento di Bob Rotella e me lo sogno. Ma so che non ci arriverò raddoppiando la pratica: ci arriverò pensando nella maniera corretta in campo pratica, e poi naturalmente in campo.
Sono discorsi che forse possono apparire astrusi, ma oggi – dopo anni di pratica guidata soprattutto dal numero di ore passate in campo pratica, dal numero di palle tirate – credo che il fulcro della pratica sia qui.
Un giorno, per esempio, avevo dato un titolo alla pratica. Quel titolo era Fade e immaginazione. Ovvero, prima ero andato nella zona approcci e mi ero messo a 50 metri: da lì ho tirato una quarantina di palle con sand, F8, F6, F4 e ibrido (non necessariamente in quest’ordine). Poi ho fatto lo stesso da 90 metri (drive incluso), e infine ho terminato con approccini intorno al green (da 15 a 5 metri dall’asta).
Poi sono sceso sotto, nel campo pratica vero e proprio, e ho tirato una cinquantina di fade con F7, F5 e ibrido. Quello che mi era piaciuto molto di quella sessione era stato vedere i diversi voli di palla, le diverse reazioni della palla a bastoni diversi e dunque la necessità di usare l’immaginazione per determinati colpi. Il tutto non necessariamente allo scopo di adoperarli in campo, ma come supporto allo sviluppo della sensibilità, del tocco e – appunto – dell’immaginazione.
La sensazione finale, a pratica terminata, era decisamente interessante: mi sembrava di capire un po’ di più sia della meccanica che del feeling del mio golf. È una sensazione difficile da tradurre in parole ma decisamente positiva.
La singola parola che descrive meglio il golf è ritmo. Poi penso alla tecnica naturalmente – grip, transition e quant’altro –, ma le sensazioni guidano la pratica, e qui c’è una chiave fondamentale per il miglioramento deciso.
Golf immaginifico. Il cerchio si chiude.
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