A volte ritornano.
Oliver Wilson ha fatto il suo ingresso nello European Tour nel 2005, a 24 anni. Da lì sono seguiti anni brillanti, sia pure con qualche ombra: tra il 2006 e il 2009 è finito per nove volte secondo in tornei del tour. (Una sorta di maledizione, un emulo di Snead o Mickelson allo US Open?)
Nel 2008 arrivò fino al 45° posto della classifica mondiale, e si qualificò anche per la Ryder.
Poi il declino, inesorabile e nemmeno tanto lento. Alla fine del 2011 perse la carta. E da lì sono stati quasi tre anni di calvario, soprattutto sul Challenge dove ha ottenuto pochi risultati.
A che cosa pensa un giocatore professionista quando la palla non va più dove vuole lui, e nemmeno scendere nella serie minore funziona?
Come ha detto in un’intervista, in Kazakistan ha messo in discussione tutto (da solo in un’anonima camera d’albergo, suppongo). Che cosa passa per la testa di un giocatore professionista appena dopo i trent’anni, quando dovrebbe essere al suo teorico massimo e invece non riesce più a prenderla?
Ha mandato due video del suo swing a Robert Rock. Lui gli ha detto dove sbagliava, e quello è stato – per sua ammissione – il turning point.
All’Alfred Dunhill Links Championship di quest’anno è entrato grazie a un invito di uno sponsor. La domenica, quando Fleetwood ha sbagliato il putt che l’avrebbe mandato al playoff, la sua faccia ha detto tutto: calvario gioia sofferenza lunghi anni incerti sollievo.
Da numero 792 del mondo a numero 39 del tour in una settimana solamente, e carta assicurata fino alla fine del 2016. There is hope for us all.
Well done, Oliver.
Commenti
Oliver Wilson – una bella storia: http://t.co/0szCbo4bfT [There is hope for us all.] http://t.co/tkr6ywj5lH