Ieri ho fatto 18 buche in solitaria. A me piace giocare da solo: piace tanto la compagnia degli amici, ma altrettanto stare da solo, sia da un punto di vista sportivo che personale.
Sportivo, perché posso andare al mio ritmo (più d’uno mi dice che sono lento e credo ci sia almeno un fondo di verità in questo; ma perlomeno se sono da solo e non c’è nessuno dietro di me, come ieri, non disturbo nessuno), riprovare i colpi che non sono venuti bene fino a che sono soddisfatto, prendere delle note (sull’importanza del tenere un diario vedi qui) e così via.
Personale, perché posso riflettere in tranquillità, godermi la bellezza della natura e la passeggiata, stare in pace in uno dei luoghi che adoro; e poi a stare quietamente da solo mi vengono sempre delle idee.
Esattamente tre anni fa, a partire da una situazione simile, avevo scritto altre considerazioni. A voler fare un paragone trovo due differenze:
– l’aspetto agonistico è ora in me, se possibile, ancora più pressante;
– nello stesso tempo mi rendo conto che il tempo passa e il fisico invecchia, dunque ora devo fare il doppio della fatica per ottenere le stesse cose. Ma l’idea di diventare il golfista migliore che io possa diventare è motivatore sufficiente, non mi occorre altro.
In una nota laterale, alla 17, un par 3 corto, ho fatto una “quasi buca in uno”: ferro 7 impugnato corto e tirato a fiamma, la palla che si ferma a 20 centimetri dalla buca. Una bella sensazione, comunque.
Il campo era pesante ma anche il campo della vita può essere considerato pesante, dipende “solo” dal punto di vista. Io ieri ne ho tirati 80 ed è stato bellissimo.
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