Il tempo

Hyderabad
Quando hai i piedi gelati e sei in campo pratica puoi andare nello spogliatoio e spararti il phon diretto nei piedi; ma non basta il calore, occorre tempo.

Quando mi rendo conto di un difetto nel mio swing (facile… ne ho trecento – and counting) faccio i passi che ritengo opportuni per correggerlo. Ma non posso correre, perché so che ci vorrà tempo perché la variazione diventi automatica.

Il tempo. Non ci sono scorciatoie. Vale il concetto di spaced practice magistralmente espresso da Mark Guadagnoli nel suo libro. E sul tema vedi anche la nostra conversazione:

La cosa più semplice che si può fare in campo pratica è quella di guardare la palla il più a lungo possibile prima di prendere una seconda palla da colpire. I dilettanti colpiscono quasi sempre la palla troppo velocemente: ciò dà vita a cattive abitudini e limita l’apprendimento. L’apprendimento è un cambiamento nella biologia del cervello e questo richiede tempo. Forse pochi secondi o pochi minuti o poche ore, ma comunque ci vuole tempo. Colpire una palla dopo l’altra manda fuori ritmo e non dà il tempo al cervello di elaborare le informazioni.

E sempre parlando di tempo, avremmo dovuto forse cominciare da piccoli? Per quanto mi riguarda, anche ammesso ne avessi avuto la possibilità (probabilità decisamente più pari che vicina allo zero) non penso avrei continuato: mi sarei stufato prima, non avrei avuto la forza mentale necessaria che ora ho.

Quindi niente: golf is a game of patience, potremmo dire parafrasando Bob Rotella. Permetti al tempo di fare il suo lavoro, applica concentrazione e pensiero su ogni singolo colpo, e se tutto va bene col tempo diventerai il golfista migliore che puoi diventare.

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