Il FlightScope e io

FlightScope
Questa settimana ho fatto la mia prima lezione col FlightScope.

È stato affascinante l’impatto con la tecnologia sotto la guida di un maestro super qualificato, vedere i numeri che i miei swing producevano e rapportarli – per avere un riferimento – con le medie del tour. E mi ha dato soddisfazione vedere che, col prosieguo della lezione, i numeri miglioravano e si avvicinavano man mano all’impatto corretto. (Perché gli swing possono essere teoricamente infiniti, ma all’impatto la posizione ottimale della faccia del bastone è una e una soltanto.)

Però la lezione, riflettendoci dopo, mi ha messo anche un velo di tristezza addosso. Perché non è un’ora di misurazioni al mese che farà fare dei progressi decisi: un’ora di lezione ogni tanto sgrossa dei difetti macroscopici, ma non ti porta da 3 a 0 in due anni e mezzo.

Certo, la mia pratica indefessa è un grosso vantaggio in questo: ma quanto è sensata la mia testardaggine nell’andare avanti nella ricerca del mio massimo? Qual è il confine tra determinazione e follia?

Ho pensato anche all’acquisto di questo dispositivo, che potrebbe placare per un po’ la mia sete di conoscenza e di numeri. Ma alla fine dove porta tutto ciò?

Nell’imparare sono un solitario per natura; ma questo vuol dire anche togliersi tante opportunità. Senza contare l’età che avanza, ovviamente. (E magari lasciamo da parte il discorso sul talento, che non credo sia così importante.)

È comunque logico che le risorse vadano là dove c’è il talento, e dunque che ai ritiri della Nazionale ci sia il maestro per la parte tecnica, il preparatore alimentare, il fitter, lo psicologo sportivo eccetera; senza contare ovviamente tutta la tecnologia disponibile; mentre Daviquez continua a praticare in solitaria.

Però alla fine delle fini mi pare che i miei sforzi mirino a cercare una conclusione là dove una conclusione non può esistere. È questo, relativamente al golf, il mio grande mah.

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