Oggi, grazie all’amico Roberto Guarnieri, sono lieto di offrire una chicca ai miei (ma è più opportuno dire “nostri”) venticinque lettori: una lunga intervista a Baldovino Dassù, vincitore tra le a ltre cose dell’Open d’Italia del 1976 a Is Molas. In poche parole un monumento del nostro golf.
Grazie quindi a Roberto per aver avuto l’idea e averla realizzata e a “Baldo” per essersi prestato di buon grado a questa conversazione a tutto tondo sul golf di ieri e di oggi. (Qui si trova l’audio dell’intervista.)
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Rob: Che cosa ti ha spinto ad avvicinarti al golf da bambino?
Baldo: Mi hanno spinto i miei genitori. All’epoca era un gioco molto poco diffuso e conosciuto, per cui la maggior parte di coloro che iniziavano a giocare non lo facevano perché l’avevano visto in televisione o ne avevano sentito parlare, ma quasi solo esclusivamente se erano figli di golfisti.
Rob: Chi è il golfista che nei tuoi anni di formazione ti ha ispirato di più? Perché?
Baldo: Io sono del ’52, ho iniziato a giocare agli inizi degli anni Sessanta…
Rob: … ecco, adesso con Internet, la televisione, i giornali che girano è più facile ispirarsi a Bubba Watson piuttosto che a Tiger Woods, ma all’epoca…
Baldo: All’epoca i nomi che giravano erano quelli del personaggio che ha creato il golf professionistico negli Stati Uniti, ovvero Arnold Palmer, e poi era nota la sua rivalità con Jack Nicklaus.
Rob: Le informazioni arrivavano…
Baldo: … le informazioni arrivavano solo ed esclusivamente attraverso “Golf Italiano”, che era l’unica rivista del settore in Italia, rivista gestita a Roma da Franco Bevione, un famoso giocatore dilettante di quell’epoca.
Rob: È una domanda che ti avranno fatto mille volte, ma puoi raccontare i tuoi ricordi della vittoria all’Open d’Italia del 1976?
Baldo: Fu molto piacevole, anche perché venivo dalla vittoria due settimane prima del Dunlop Masters in Galles, ed era la prima volta che un giocatore italiano vinceva nei paesi anglosassoni. Per cui sono arrivato a Is Molas, campo che non conoscevo (era appena stato aperto), abbastanza fiducioso nelle mie possibilità, molto positivo – e in effetti poi ho vinto.
Rob: Parliamo adesso di Tour: com’è cambiato dal periodo tuo a oggi?
Baldo: È cambiato tutto. È cambiata la quantità di soldi.
Rob: Adesso hanno le courtesy car e tutte queste cose qui.
Baldo: È cambiata moltissimo l’organizzazione, nel senso che quando tu fai parte del Tour oggi tutti i problemi inerenti agli spostamenti, alla logistica eccetera sono risolti dal Tour stesso: per cui è molto più facile organizzare la tua attività. All’epoca il Tour si svolgeva in meno paesi ed era molto meno organizzato.
Rob: Anche gli spostamenti…
Baldo: … gli spostamenti erano a carico tuo, dovevi organizzarti. Io facevo migliaia di chilometri, perfino in macchina; pensa solo a quanto costavano i voli all’epoca, per cui volare diventava anche un impegno economico non indifferente. Mi ricordo che l’Alitalia per un certo periodo – meno male – ci aveva dato una mano.
Rob: Sempre a proposito di cambiamenti, veniamo ai nuovi materiali. Hanno contribuito a rendere più facile il gioco, ma anche – però è una mia opinione personale – a cambiarlo radicalmente. Tu che cosa ne pensi?
Baldo: Come in altri sport, tipo il tennis, i materiali hanno cambiato in modo molto importante il golf odierno. Tanto per darti un’idea: ai miei tempi quando un professionista giocatore aveva la sventura di danneggiare il driver, che all’epoca era di legno con shaft solo ed esclusivamente di acciaio…
Rob: Prima di ritrovarne uno uguale…
Baldo: No, era impossibile ritrovarlo uguale, anche perché la testa veniva rifinita a mano da persone specializzate. I più famosi driver dell’epoca per la piacevolezza del design e per la qualità del legno che usavano erano i famosi Mac Gregor e subito dopo i Toney Penna. Se si rompeva il driver era una tragedia: c’erano giocatori che nel momento in cui rompevano il driver lo tenevano insieme con una serie di viti degna del miglior mobiliere di Cantù; se invece era irrecuperabile era una danno paragonabile alla perdita del coniuge [ride]. Quindi oggi hai una tale possibilità di attrezzarti con materiale che va incontro alle tue caratteristiche che mi vien da ridere solo all’ipotesi di poter fare un paragone.
Rob: Anche perché i materiali nuovi danno delle prestazioni migliori. Non c’era gente che faceva trecento e passa metri: ma non perché non erano capaci, perché…
Baldo: La preparazione fisica non era prioritaria come oggi, dopodiché esistevano per vocazione o per natura dei professionisti che indubbiamente già all’epoca erano degli atleti. Il Greg Norman di vent’anni non aveva niente da invidiare a moltissimi giocatori di oggi di vent’anni; anzi forse era ancora meglio. Veniva dal nuoto e aveva quindi un fisico eccezionale e una potenza spropositata.
Rob: Tra l’altro se non ricordo male Norman era uno di quelli che aveva iniziato il golf non da piccolo.
Baldo: Più avanti, sì. Leggevo proprio un articolo in tempi recenti, non mi ricordo dove, dove qualcuno secondo me intelligente sostiene che fino a una certa età non è assolutamente necessario dedicarsi al 100% a uno sport come il golf, ma è anzi bene praticarne altri che ti formano molto di più sia sotto il profilo mentale che sotto quello fisico. Lo stesso Spieth ha praticato a livello serio sport come baseball e basket, come normale in America.
Rob: Succede in America. Lì partono che sono potenzialmente dei buoni giocatori per due o tre sport, poi a una cera età scelgono…
Baldo: … scelgono dove finire. Però il fatto di averne praticati altri li avvantaggia, proprio perché fisicamente sei più preparato. Nicklaus comunque, con i materiali di una volta, dallo stesso tee di oggi alla 18 di Sant Andrews, e questo me lo ricordo benissimo, si levò il maglione – aveva bisogno di far 3 per andare al playoff contro Dough Sanders, che aveva sbagliato un putt da un metro all’ultima buca – e drivò nel raffetto oltre il green con le palle di allora: perché oggi si parla tanto di bastoni, ma un ferro 7 di oggi grossomodo equivale a un ferro 6…
Rob: Sono cambiati anche i loft.
Baldo: Sì, sono cambiate anche le lunghezze degli shaft, quindi diciamo un ferro 5 e mezzo dell’epoca, ma la vera differenza – quei dieci/quindici metri in più – la fa la palla.
Rob: A parte che questa cosa dei materiali va a impattare anche sui campi. Io ricordo per esempio quella celebre fotografia che qualsiasi golfista conosce del ferro 1 di Hogan alla 18 di Merion: dopo tanti anni, Merion hanno cominciato a riutilizzarlo solo qualche anno fa, quando hanno fatto le modifiche per allungarlo Nello US Open in cui ha vinto Justin Rose ha giocato driver e ferro 5, Hogan all’epoca aveva giocato driver e ferro 1. Da lì, appunto con l’avvento dei nuovi materiali, tanti campi come Merion – che era un campo famosissimo – non sono più stati usati, perché sarebbero stati ridicolizzati.
Baldo: Sì, anche Augusta hai visto che hanno spostato i tee molto indietro.
Dopodiché cosa succede? Che gli score salgono solo in occasione dei major dove, al di là dei metri, il campo è reso praticamente impossibile con la larghezza dei fairway, l’altezza del rough, la velocità dei green e altri elementi. È chiaro che quanto un professionista tira un drive a 300 metri e fa le distanze che fa con tutti i ferri nella sacca, la distanza è l’ultimo dei problemi, cioè non frega niente. Nel golf professionistico moderno, innanzitutto, dovrebbero scomparire i par 5.
Rob: Come fanno allo US Open, che prendono un par 72 e due par 5 li fanno diventare par 4.
Baldo: Già. Ma in teoria potrebbero essere quattro. Anche perché tutte le buche sotto i 560 metri – calcolando un secondo di 260 metri – dovrebbero essere par 4. Cioè non vedi mai un professionista di oggi che a un par 4 ha in mano un ferro lungo, a meno che non ci sia il vento a 100 all’ora. Anzi devo dire che, un po’ per il modo in cui si gioca, dove la priorità è data dalla distanza, e anche in parte per il fatto che la palla moderna è un po’ meno manovrabile che quella in balata di una volta (spinna meno), la gente tende a tirarla dritto per dritto e massacrarla anziché lavorarla. Una volta col drive in legno e il vento contro o tu la tiravi col volo destra sinistra o perdevi troppi metri. Se poi per assurdo la tagliavi un po’ ti tornava sui piedi. Proprio non era previsto.
Rob: Cosa pensi della tecnologia applicata al golf? E qual è, a tuo parere, il confine tra arte e scienza/tecnica in questo sport?
Baldo: È una bella miscela. La tecnologia odierna permette sia all’atleta di alto livello che all’allenatore di avere la conferma precisa della diagnosi che fa, cosa che ai miei tempi si basava sul volo della palla e basta, per di più con la premessa che si attribuivano al volo della palla elementi diversi di quelli di oggi.
Rob: La tecnologia è quello che ci ha portato a capire il D-Plane, che per certi versi ci ha sconvolto…
Baldo: Certo. Per anni si è sostenuto che la palla partiva in direzione della traiettoria del manico e poi era la posizione della faccia che influiva sull’effetto; oggi quando si dice che la palla parte all’85% in relazione alla posizione della faccia e la palla gira ovviamente quando il manico diverge da quella posizione, è ben diverso il ragionamento! Questo diventa un aiuto incredibile, specialmente a livello mentale per il professionista giocatore, diventa un aiuto enorme per l’allenatore che lavora con gente i cui errori a occhio non li percepisci assolutamente. Quando hai davanti a te un professionista che non sta giocando bene sfido chiunque a fare una diagnosi così scontata. Col cavolo! Dopodiché resterà sempre un’arte: perché tu puoi mettere insieme uno swing che è corretto sotto il profilo tecnico, ma poi devi giocare. Tra swingare e giocare c’è un abisso, e molta gente forse non capisce quello: che il golf non è mettersi in campo pratica.
Rob: Possiamo dire che è come la differenza che c’è tra sapere a memoria le note e suonare una sinfonia: suonare il pianoforte non vuol dir sapere a memoria una serie di note.
Senti, e invece per quello che riguarda la tua attività di progettazione campi?
Baldo: Grazie alla situazione economica ha avuto un bello stop! [ride]
Rob: È quello che stavo pensando esattamente in questo momento.
Baldo: Devo dire che io in pratica ho smesso di giocare dopo che avevo provato a fare il Senior Tour nel 2003 con risultati non certo eclatanti (ma comunque ero rimasto nei primi venticinque, avevo rischiato di vincere un torneo, insomma ero relativamente soddisfatto anche perché erano quindici anni che non giocavo più sul serio), e non ho giocato l’anno successivo per costruire il campo all’Argentario sperando che mi avrebbe dato un po’ di visibilità e quindi incarichi successivi; sono riuscito addirittura a vincere la gara indetta dalla Federazione per il campo che avrebbe dovuto essere il campo federale a Roma, che poi non è stato purtroppo mai realizzato perché è iniziato il periodo difficile; e il mio lavoro si è abbastanza interrotto.
Rob: Sono iniziato gli anni bui.
Baldo: Sì, ho lavoricchiato a livello di modifiche.
Rob: Cervia, no? Se mi ricordo bene.
Baldo: Ma era precedente. Tutta roba precedente all’argentario che ho costruito insieme a Brunico. Ecco, Brunico l’ho costruito insieme all’Argentario nel 2004: è stato l’ultimo anno in cui ho fatto qualcosa.
Rob: Cambiamo argomento. Che cosa si può fare, a tuo avviso, per rendere il golf più popolare, più diffuso? Una volta forse era meno conosciuto, più elitario, una volta forse i campi prima di entrarci a giocare c’erano difficoltà…
Baldo: Guarda, è strano. Una volta certamente era più elitario nel senso che giocava meno gente; ma che fosse poi costoso come accade in alcuni posti oggi no, non lo era.
Rob: Cioè tu dici che era difficile accedervi, però una volta che eri riuscito a entrare non era poi una cosa…
Baldo: Era difficile perché… prima di tutto non sapevi cosa fosse – non so, sarebbe come parlare della pelota basca in Italia oggi (ammesso che ci giochino) –, era uno di quegli sport che se tu chiedevi a dieci persone che cos’era, probabilmente sette non sapevano nemmeno che cavolo fosse. Quindi era molto elitario in quel senso. Poi si è cominciato a vendere la pubblicità in televisione agganciata al golf dipingendolo come il gioco della gente che poteva, che faceva, che dava sta patina di figosità. E allo sono stati aperti molti campi con un’impostazione diversa, costosa, elitaria più che altro nel senso economico. Mentre prima era elitaria nel senso che per entrare in un clubbino, che poteva essere Stresa piuttosto che altri all’epoca, dovevi essere votato.
Rob: È quello che succede anche adesso, solo che adesso si va più per scontato – nel senso che ci deve essere la presentazione di due soci, però i due soci sono i primi due che passano di lì adesso.
Baldo: Esatto. All’epoca era lo stesso, nel senso che se tu non eri Vallanzasca non vedo perché avrebbero dovuto votarti contro. Non c’era ragione. Ma era soprattutto un gioco di veri appassionati: non c’era una gran ostentazione. Quindi le club house erano relativamente modeste. I servizi: io ho cominciato a giocare all’Ugolino, dove i miei genitori erano diventati soci pur non essendo a livello economico assolutamente miliardari, ma nessuno si sognava di avere quattro persone in segreteria, quello che puliva le scarpe, tre persone in livrea al ristorante… Tutte cose che ho visto dopo senza neanche capirne l’esigenza. Non c’entra niente: io immagino che al giorno d’oggi quel tipo di impostazione da appassionati si noti ancora in altri settori. Io mi immagino che nei posti dove vanno gli appassionati di cavallo non chiedano il cameriere in giacca bianca.
Rob: Quello fa parte del corollario che purtroppo poi eleva i costi alla fine.
Baldo: Non solo, ma ti fa arrivare in molte strutture della gente che arriva lì per della ragioni che con la passione del golf non c’entrano niente. E son quelli che alla fine ti rompono anche le scatole: son quelli che si lamentano, che se la tirano, non ti portano niente.
Rob: Come vedi il golf professionistico in Italia? I giovani? Quali opportunità abbiamo?
Baldo: Io vedo tanti ragazzi che hanno un bel potenziale di gioco. Gente che ormai non conosco più per ragioni anagrafiche, perché sono tanti, perché si gioca un po’ ovunque. Chiaramente ho visto giocare in televisione i vari Molinari, Manassero, quelli che sono sul Tour maggiore. Conosco meno quelli che giocano sul Challenge o addirittura sull’Alps. Però indubbiamente abbiamo dei bellissimi potenziali e direi di riflesso, giudicando i risultati, vuol dire che abbiamo dei tecnici più che validi, perché non è che questi giocatori nascono tutti baciati dal talento. Quindi vuol dire che sono seguiti e ben gestiti nella loro formazione come giocatori. Da lì a riuscire a stare tra i primi al mondo è dura: cioè capisco che tutto il mondo è abbastanza grande, si gioca a golf ormai un po’ dappertutto – se non sbaglio c’è addirittura un giocatore indiano che è diventato fortissimo – quindi nei paesi emergenti – Russia, Cina – immagino che nel prossimo futuro usciranno dei fenomeni, come le ragazze coreane che in America stanno sbancando abbastanza. E quindi se un italiano, giudicando poi come è esiguo il nostro parco giocatori, riesce a essere nei primi cento al mondo è un marziano.
Manassero ha ottenuto dei risultati straordinari, ha battuto tutti i record per un ragazzo della sua età: veramente eccezionale.
Rob: Lui ha avuto adesso un periodo di calo, non ho capito bene se fisiologico o dovuto a che cosa.
Baldo: Non lo so.
Rob: Lui ha iniziato praticamente a tre anni, quando aveva il biberon in una mano e il bastone nell’altra e poi magari arrivi a un certo punto che è fisiologico che si prenda un attimo una pausa.
Baldo: Ti dico, per dire qualcosa dovrei conoscerlo meglio. Io l’ho incontrato tre volte, mi è sembrato una bella persona, equilibrato, una persona molto solida a livello mentale, l’ho visto giocare pochissimo però i risultati parlano: quello che ha fatto lui nei primi anni da professionista è impressionante. Veramente. Questa flessione nel suo rendimento non so a che cosa attribuirla. Per quanto ne so potrebbe essere dovuta anche a delle ragioni che nulla hanno a che vedere col golf.
Rob: È quello che pensavo anch’io: nel momento in cui ha mollato un attimo la pressione…
Baldo: Non lo conosco, quindi non lo so. Ci sono tanti componenti (guarda il rendimento di Tiger dopo il divorzio): uno può andare in crisi non per come stacca il bastone nel backswing, ma per delle ragioni che col golf non c’entrano niente.
Volevo ancora spendere qualche parola su quel che mi avevi chiesto prima, che cosa si può fare per aumentare il gioco. Partiamo dal presupposto che non siamo un gran paese di sportivi.
Rob: Siamo un paese di tifosi…
Baldo: Siamo un paese di tifosi, e mi sembra ci sia una bella differenza. Sedersi allo stadio è molto meno faticoso che stare in campo, in qualunque sport. Non c’è tutta sta passione, forse mancano le strutture. Io ho sempre attribuito questa nostra formazione scarsamente sportiva alla scuola: nel nostro sistema educativo, a differenza dei paesi anglosassoni, lo sport non ha mai avuto una posizione significativa.
Rob: Noi abbiamo l’ora di ginnastica, ma è più vista come un’ora di tempo libero.
Baldo: Sì, equivale a un’ora di religione. Poi non so che cosa venisse, forse storia dell’arte. Quindi cosa ci si aspetta? Per anni si è detto che ci voleva il personaggio trainante. Ma abbiamo avuto un Rocca che ha fatto miracoli, abbiamo avuto i due Molinari in Ryder Cup, abbiamo vinto la Ryder Cup.
Rob: I Molinari che vincono la World Cup…
Baldo: Che cosa ci vuole, che il Papa cominci a giocare a golf? Forse il nostro è un paese dove l’unica speranza è che il papa si dia al golf, che prometta il paradiso a tutti quelli che prendono l’handicap! [ride di gusto]
Rob: Io direi che sei stato più che gentile a prestarti a questa cosa, e ti ringrazio.
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Intervista a Baldovino Dassù – a cura di Roberto Guarnieri https://t.co/5TsIsKAZoc #Baldo https://t.co/BRkgQ2wnqH