Ho faticato tanto, e onestamente la gara era un po’ troppo per me, un po’ fuori della mia portata; ma è stata una bella esperienza.
Vi avevo già partecipato l’anno scorso, ma con risultati disastrosi (e anche litigando con un ragazzino compagno di gioco per un droppaggio – ogni tanto Gianni, di solito molto pacifico, diventa litigioso).
Quest’anno è stato diverso.
Nella prova campo, fatta con l’amico Edoardo che pratica otto ore al giorno tutti i giorni (la mia pratica, al confronto, impallidisce), drive, legni e anche ferri avevano la tendenza maldestra – che non riuscivo a correggere se non con la seconda palla – ad andare a destra.
Tant’era. La partenza del primo giro era fissata per le 7:52, ma già dalla sera prima era quasi scontato che non si sarebbe giocato per la pioggia. E, dopo una sospensione annunciata fino alle 11, così è stato: annullato il secondo giro (dei quattro), ci si sarebbero giocate le carte nel primo giro del venerdì. Allora giovedì è stato un giorno lento, di campo pratica e poi stretching in camera. Ho tirato otto gettoni, ovvero 160 palle (che in confronto alla pratica di Edo fanno ridere, ma tant’è), e rimesso le cose a posto. La sera ero sereno: non mi aspettavo nulla dal giorno dopo ma ero tranquillo.
Oggi ne ho tirati tanti, troppi (87: ecco, l’ho detto): cinque doppi bogey sono troppi per chiunque, anche ammettendo l’attenuante del campo lungo.
Non importa; è andata. È stata una bella esperienza. Il vantaggio del giocare le gare difficili rimane: quando torni nel tuo orticello tutto ti sembra più semplice. Si va avanti, va bene così.
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