Sono stato in campo pratica, mercoledì, per una di quelle sessioni che una volta erano la regola e ultimamente sono state abbastanza latitanti. (Cambierà, suppongo; ma in questi ultimi mesi è stato così.) Ho tirato 96 palline, di cui circa 80 col drive perché volevo sperimentare le varie posizioni della testa, e ciò facendo ho tirato qualche somma:
– il mio swing è brutto: mi sono fatto un video, l’ho guardato e ho visto che sia nei colpi disarmonici che in quelli meglio riusciti è comunque qualcosa che non si può vedere (“People are going to swing the way they are going to swing”, come dice Peter Jacobsen in questo libro – la cui recensione completa sarà su “Il Mondo del Golf Today” di settembre);
– in ogni caso è efficace, perché se sono arrivato ad avere un handicap discreto e poi a mantenerlo significa che il gioco nel suo complesso, nei limiti del mio essere dilettante, c’è (ieri ne ho tirati 77 facili, per dire – con i green carotati da pochissimo e conseguenti 33 putt, che per me sono un’enormità);
– e comunque devo tenermelo così, perché cambiarlo richiederebbe uno sforzo immane, senza garanzie di risultati e soprattutto senza un vero scopo;
– comunque vadano le cose, il tempo vincerà su di me e devo farmene una ragione.
Però va bene così, non è un problema questo; accettare i propri limiti è una cosa importante. Se fino a qualche anno fa avevo accarezzato l’idea di diventare professionista, oggi mi è chiaro che questa impresa non sarebbe stata possibile; e comunque il golf per me va bene fatto in questa maniera: c’è chi arriva a questa conclusione a diciott’anni, io ci sono arrivato verso i cinquanta ma ciascuno ha i suoi tempi, va bene così. È bello che il golf rimanga una cosa divertente, un bel gioco, una sfida con se stessi – e tenendo conto del fatto che non sei sempre alle Olimpiadi.
E poi rimangono in piedi e in corsa due progetti a lungo termine che ho messo in pratica e di cui parlo da tempo:
1) il dimostrare che chiunque, pur cominciando da adulto e senza particolari doti atletiche, può arrivare – con un impegno costante – ad un handicap sotto il 5 (ne sono la prova vivente);
2) lo scrivere di golf, che è qualcosa che mi appassionata tantissimo e dove, modestia a parte, credo di essere molto bravo.
Insomma non diventerò un professionista di golf ma saranno comunque interessanti gli anni a venire.
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