Ho dedicato la settimana scorsa. golfisticamente parlando, a questa gara.
L’esperienza nel suo complesso è stata decisamente positiva, con alcune zone d’ombra che mi hanno dato degli spunti di miglioramento che condividerò qui insieme al racconto di quei giorni.
Il campo di Cherasco non è lungo (meno di 6mila metri dai bianchi) e nello stesso tempo abbastanza stretto, il che lo rende adatto alle mie caratteristiche. Martedì faccio la prova campo con buone sensazioni, prendo confidenza con un terreno di gioco che non ricordavo praticamente più (vi avevo giocato qualche volta diversi anni fa, ma le memorie erano molto scarse).
Mercoledì le condizioni di gioco sono perfette:
– la partenza non è troppo presto, il che non mi costringe a stravolgere i miei ritmi circadiani;
– giochiamo in due anziché in tre, perché il terzo giocatore non si presenta: questo evita pressioni di tempo;
– non ci sono caddie per il mio compagno, e questo aiuta a tenere le distrazioni esterne al minimo.
Gioco le prime nove in maniera molto regolare, con un solo bogey alla 4, e qualche errore (un paio di legni 3 flosci e a destra, tre putt – di cui due per il birdie – dove ho calcolato male la forza, un ferro 8 smorto che finisce a destra). Ma sono a +1 e dunque abbastanza soddisfatto.
Nelle seconde nove vado meglio, con birdie alla 11 e 14, poi un bogey alla 15 che accetto (è un par 3 di 200 metri molto difeso, arrivare in green non è affar semplice per me). Arrivo alla 18, un par 5, pensando di essere a +1 (mentre sono in par). Sul terzo colpo sono a 77 metri in salita, che sovrastimo (non essendo lontano dalla buca sono nella parte terminale della salita stessa); scelgo il 52° impugnato corto (ah, quanto mi piace impugnare corti i wedge!), ma lo forzo e finisco in bunker. Non riesco a fare up & down e termino in 73. Gli errori sono stati simili a quelli delle prime nove: un legno 3 smorto e uno rasoterra, un putt non attaccato e il 52° di cui ho detto; ma in genere i colpi partivano bene, i green presi sono stati 12 e tutto funzionava. Sono settimo a pari merito in classifica.
Il giorno dopo le cose non funzionavano alla stessa maniera:
– ho ricevuto diversi complimenti per il giro del giorno prima: cosa che fa piacere ma distrae perché sposta il centro dell’attenzione;
– il mio compagno di gioco ha cambiato tre caddie (leggi: amici che lo accompagnavano) durante il giro, e soprattutto con il secondo c’è stato un parlottare fitto che mi distraeva parecchio (anche se la responsabilità degli errori è soltanto mia, sarebbe troppo facile cercare un capro espiatorio per quando le cose non vanno bene).
I colpi totali alla fine sono stati 83 [sic], dovuti sia a prime nove (concluse in 44, con 6 bogey e un doppio) dove il bogey pareva essere il mio par e a due grossi errori nelle seconde, due doppi della serie più classica di quando un errore tira l’altro – mentre fatto un errore (cosa normalissima) bisognerebbe riuscire ad accettarlo molto in fretta, dimenticarlo e passare oltre. In particolare mi è rimasta addosso la brutta sensazione della 18, un normale par 5 dove a un bel drive hanno fatto seguito un legno 3 in slice, un discreto 52°, una flappa col 60°, una flappetta col 60° (la sorella minore) e un putt lasciato corto. Esco a testa bassa dal campo, sono ventottesimo a pari merito in classifica generale. Brutta giornata; anche se il taglio è passato, e questo è un bell’obiettivo raggiunto.
Il terzo giorno è stato a metà tra i primi due, sia come colpi (77) che come sensazioni. La cosa negativa è che con cinque birdie – che non sono pochi – non sono riuscito a far meglio di +5, e questo in virtù di un doppio bogey sciocco (un altro!) alla 8, dove con un ferro 9 da centro fairway non solo non sono arrivato in green, ma sono riuscito ad andare a destra del bunker di destra, e soprattutto di un triplo alla 16, quando viaggiavo con un discreto +3 ma ho chiuso l’ibrido dal tee spedendolo fuori limite e poi, arrivato in green, ho completato l’opera con tre putt (figli però soprattutto del 52° lasciato troppo corto).
Tiro le somme: trentunesimo posto finale. che non è un brutto risultato, se non fosse per il fatto che solo i primi trenta prendono punti per l’ordine di merito. E così scivolo sempre più giù! (Ma questa cosa l’ho già digerita.)
Porto via con me due idee generali. La prima è che se tutto va bene, come nel primo giorno, vado bene e proseguo il mio gioco senza patemi; ma non appena interviene qualche fattore interno o esterno a disturbarmi pare che gli errori vengano a cascata. Epperò nel golf i fattori di disturbo ci sono, e gli errori si fanno: dunque è importante non dare troppa importanza agli errori, così come non esaltarsi troppo per i bei colpi, ma proseguire diritti per la propria strada.
La seconda parte da una citazione di Tommy Armour:
It is not solely the capacity to make great shots that makes champions, but the essential quality of making very few bad shots.
[Non è solamente la capacità di eseguire colpi grandiosi che fa un campione, ma soprattutto la capacità di tirare pochissimi colpi disastrosi.]
Sulla qual cosa occorre riflettere a lungo: perché un birdie fa piacere, ma un triplo bogey ti taglia le gambe e non ammette repliche.
Comunque complessivamente è stata un’esperienza molto positiva per me; l’handicap è anche sceso (3,4 al momento). Mi sono applicato, ho imparato delle cose che spero di mettere a frutto nei mesi a venire, ho sperimentato in tutti i giorni vari tratti di flow. Soprattutto, del gioco delle ultime settimane mi pare questo: sono pronto – e sarebbe ora – per raggiungere quella fatidica quota “due virgola” che da anni vado predicando. Sono pronto.
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