Pensare birdie


Ho riletto quanto ho scritto in questo blog quest’anno. Con questo sono dieci articoli, che in un anno sono decisamente pochi, soprattutto se li paragoniamo ai 52, regolarissimi e puntuali, di ciascuno dei sei anni precedenti.
Ma ci sono stati dei motivi. Uno, extragolfistico e doloroso, una ferita non ancora rimarginata di cui non voglio parlare qui. Qui voglio mantenermi legato al golf, dirò dunque quel che è successo nel mio anno golfistico.

Ho riletto anche il mio diario di bordo di quest’anno, ovvero il luogo dove annoto i pensieri legati alla tecnica – tipicamente, ma non sempre, dopo una lezione.

Ho preso dunque spunto dai miei pensieri e dalle mie sensazioni dell’anno, e ho tratto qualche conclusione.

In poche parole la pratica e il mio approccio al golf sono divenuti più concentrati. In questo periodo so che due ore di pratica sono il limite massimo, per me; nel senso che oltre il paio d’ore – passato non a sparare palle a casaccio, ma a riflettere su ogni singolo colpo – mi rendo conto che non imparo più perché sono mentalmente troppo stanco. È il “vecchio” concetto di spaced practice.

Quest’anno ho registrato 45 giri completi in 9 campi diversi, 27 dei quali alla Marghe, con questi dati:
– media score 78,47
– fairway 64,6%
– green 45,3%
– up&down 45,2%
– media putt 30,76

Alcune considerazioni a seguire.

Prima cosa: nove campi sono pochi, nel corso di un anno. Il prossimo saranno certamente di più, anche perché per il mio secondo anno da senior sono anche diventato membro dell’Agis, e questo significherà certamente molte gare in vari campi.

Seconda cosa: da gennaio non terrò più le statistiche in maniera maniacale, perché a consuntivo non trovo che siano così utili, ma porterò con me il taccuino, che poi diverrà un foglio Excel analizzabile. Già lo faccio, in effetti, ma la differenza sarà che mi concentrerò esclusivamente nel segnare i colpi migliori e peggiori di ciascun giro: quelle saranno indicazioni valide su che cosa occorre lavorare. È importante sottolineare che entrambe le direzioni sono ugualmente importanti: se il significato dei colpi peggiori è ovvio, soprattutto quando divengono tendenza (il taccuino non può mentire, in questo), altrettanto lo è (o lo dovrebbe essere) quello dei colpi migliori, perchè, come dice questo libro,

While golfers can, of course, develop from working on their weaknesses, change and sustained improvement are only possibile when golfers are also working on their strengths.
[Se è vero che i golfisti possono, naturalmente, sviluppare il loro gioco a partire dal lavorare sui loro punti deboli, i cambiamenti e il miglioramento continuo sono possibili solo quando stanno anche lavorando sui loro punti di forza.]

Insieme a ciò, sarà sempre molto utile l’analisi post round di ciascun colpo giocato, che normalmente faccio nel percorso in auto verso casa, quando mi “decomprimo” dalla gara.

Terza cosa: i green presi sono troppo pochi, devono salire sopra il 50%. Anche i putt sono troppi, devono scendere sotto i 30. Soddisfatte queste due condizioni, l’handicap potrà essere stabilmente quel due virgola che sogno da millanta notti.

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