76 – 79 – 79 | T-18 | ODM 519: ecco i numeri del secondo campionato nazionale senior cui ho partecipato, dopo quello dello scorso anno.
In tre giorni (quattro, compresa la prova campo) succedono tante cose, si provano tante emozioni, ci si arrabbia, si gioisce e così via. Dirò a seguire le mie impressioni.
Il campo e le persone, innanzitutto. Il percorso è sostanzialmente facile: è prevedibile che le difficoltà aumenteranno con gli anni, a mano a mano che gli oltre mille alberi messi a dimora cresceranno, ma per ora il campo non ha grandi difese né è particolarmente lungo. Si tratta in ogni caso di un campo piacevolmente mosso e molto godibile. La gentilezza del titolo è motivata dai sorrisi e dalla cortesia delle diverse persone appartenenti al circolo con cui ho avuto a che fare nei giorni scorsi.
L’effortlessness, invece, parola che potremmo rendere con naturalezza, facilità, grazia, e che certamente imparento con il concetto di flow, è un pensiero che mi è venuto durante il riscaldamento e poi le prime sei buche di gara del secondo giorno, in cui percepivo in maniera chiarissima che un movimento lento dello swing produceva di fatto una palla più lunga e diritta.
Credo di aver giocato complessivamente un golf molto buono (e ne sono soddisfatto), sporcato però da un doppio bogey a giro (e nel secondo anche da un triplo) – questo è il punto dolente. Il fatto, in buona sostanza, è che per fare dei giri sotto par non occorre tanto pensare ai birdie, perché quelli vengono in maniera naturale da soli, ma occorre soprattutto evitare i doppi bogey. Perché se esistono dei bogey intelligenti (ieri, per esempio: palla in acqua in un par 4 corto di cui vedevo solo il lago e non la prateria che lo circondava, ibrido lungo di 20 metri al green in rough, pitch schiacciato e putt da 5 metri imbucato), i doppi bogey sono dei brutti errori e basta. E se per un pro un ottimo giro è bogey free, per me un ottimo giro è double bogey free; condizione necessaria e non sufficiente, ça va sans dire, perché se i bogey sono troppi e i birdie non vengono allora il giro sarà comunque sottotono. Ovvero, vale sempre la massima di Nereo Rocco, primo non prenderle, ma poi o insacchi o vai a casa.
Ho apprezzato anche il fatto che il campionato si sia tenuto in un campo al di fuori del solito circuito di circoli del nord: cosa che certamente complica la vita a chi proviene da Piemonte, Lombardia e Veneto (infatti il numero di iscritti non era elevatissimo), ma trattandosi di un campionato nazionale trovo che sia corretto spostare la sede, ogni tanto almeno, in centro Italia (e in un futuro prossimo, perché no, magari anche al sud).
Miei problemi tecnici specifici, due: il putt e il drive. Nel primo caso ho scoperto in maniera inequivocabile la causa, che è il chiudere il colpo con la spalla destra; sto lavorando tanto su quell’aspetto e, come dicevo qui, sono fiducioso di portare a soluzione completa il problema nelle prossime settimane. Il drive, che normalmente è più che buono (e decisamente migliorato rispetto all’anno scorso), è a volte un problema quando dal nulla esce uno slice imperiale oppure, aspetto diverso dello stesso problema, un colpo basso e corto a sinistra. Qui è fondamentale la mente, ovvero il ricordarsi che so eseguire il movimento corretto: l’obiettivo è insomma quello di allontanare il più possibile qualunque pensiero durante lo swing, e il resto viene (quasi) in automatico.
Mio giudizio complessivo dell’esperienza: giocare a fare il pro è divertente, ogni tanto, quindi un rotondo otto.
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