Margara è un campo splendido.
Le condizioni atmosferiche erano ottimali.
Le partenze erano sufficientemente avanti.
I green erano discretamente veloci, ma pressoché perfetti.
Il primo giorno di questa gara sono partito bene, alla 8 ero +2, con due bogey evitabili ma accettabili. Dalla 9 ho cominciato a fare disastri, il par era un lusso; alla 18 ho messo la ciliegina sulla torta, con un quintuplo bogey. (La disaster hole, nel golf, è sempre dietro l’angolo ad aspettarti. Sta a te essere bravo a non farti trovare.) E come ho scritto a Roberto, che cercava in qualche maniera di consolarmi, nel golf non c’è molto di peggio di un quintuplo bogey, a parte un sestuplo bogey. Totale: 88 [sic].
Il secondo giorno mi è parso anche peggio, nelle prime otto buche (le seconde nove in realtà – partivo dalla 10) ho messo a segno sette bogey e un doppio. (Una sola volta ho preso il green, e da quattro metri e mezzo sono riuscito a fare tre putt, nella stessa buca dove qualche anno fa vidi Pippo Calì fare un comodo eagle imbucando da cinquanta centimetri – unici spettatori mia figlia e io.) Un paio di volte ho pensato di salutare i compagni e lasciare perdere (cosa che non ho mai fatto, ma il pensiero mi è venuto limpido e chiaro). Alla 18 (la mia 9) sono riuscito, sostanzialmente per caso, a fare par.
Per le seconde nove c’erano venti minuti di attesa. Un mio compagno di gioco mi ha offerto un caffè, probabilmente a mo’ di consolazione. Ero completamente scorato, ho scritto a Paola golfisticamente voglio morire (e non credo di conoscere una dichiarazione di resa più totale verso lo sport che amo). Lei mi ha invitato a fare due parole. Il tempo c’era, in effetti. Ci siamo sentiti per qualche minuto, io più che frasi sconnesse non sapevo dire.
Forse è stata quella conversazione; forse è stato il fatto che non avevo più nulla da perdere e dovevo per forza adeguare il mio obiettivo, che è diventato fare nove buche di golf; forse il fatto che nelle prime nove abbiamo corso (completate in un’ora e trentacinque minuti – i miei due compagni di gioco avevano un car ciascuno, e io correvo dietro a loro per non farli aspettare; sciocco io, peraltro, e comunque penso con orrore e tremore al giorno, che spero non giunga mai, in cui sarò costretto a usare il cart); forse è stata una combinazione di questi fattori, o forse infine il mero caso, ma in effetti da lì ho cominciato a giocare a golf.
Perché il golf questo ha di bello, che non muore mai. Che dietro l’angolo c’è sempre una sfida che ti attende. E da lì alla 18 ho giocato in -1. Come in tutti i giri, un paio di volte di più la palla avrebbe potuto cadere in buca; e se l’avesse fatto, anche una soltanto, non sarei stato il primo escluso per i match play di oggi. Ma non importa: ho dimostrato a me stesso che so ancora giocare a golf.
Riassumendo: unendo le prime otto del primo giorno con le ultime dieci del secondo ho girato in +1; nelle ultime dieci del primo giorno unite alle prime otto del secondo ho girato in +23. Cioè, c’è una logica in questa strana simmetria?
In ogni caso il golf questo ha di bello, che risorge sempre.
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