Limiti e dintorni

Quest’anno le cose per il mio golf non sono andate come previsto. (Finora, almeno.) Nel golf è verissimo che you are your numbers, e nel 2012 – per la prima volta da quando ho preso un bastone in mano – il mio handicap a fine stagione potrebbe essere più alto rispetto a quant’era all’inizio. A me non pare di fare brutte prestazioni, ma alla fine i numeri non mentono.

Ho cercato allora di riflettere sulle ragioni di questo regresso – o almeno non-progresso – che è fastidioso e financo avvilente; anche se tutti siamo bravi a spiegare i fenomeni dopo che sono accaduti, come bene ha messo in luce Nassim Taleb nel suo Cigno nero.

Un primo motivo è sostanzialmente ovvio: è ben possibile che io mi sia avvicinato ai miei limiti. L’età è certamente un fattore da mettere in conto, per esempio: è una componente che non posso controllare e devo quindi accettare per quel che è.

Questo, a sua volta, fa leva sulle motivazioni: che cosa succede quando arrivi ai tuoi limiti e ti rendi conto che più in là non puoi andare? Quando capisci che anche uno sforzo titanico produce solo un miglioramento piccolissimo?

(È vero che l’apprendimento non è lineare ma procede a spirale, ovvero che per migliorare va messo in conto il peggioramento temporaneo delle prestazioni: però anche questa spirale per chiunque ha un limite. E quindi cosa fai? Ti rassegni a rimanere un ottimo dilettante? Lasci perdere? Giochi solo ogni tanto e quasi per abitudine? Lasci che la passione se ne vada?)

Mi sovviene anche quanto André Agassi scrive in apertura del suo Open, ovvero il suo odio viscerale per il tennis e per quella pallina che una macchina gli rimanda senza sosta al di qua delle rete, e questo da quando aveva sette anni o giù di lì. No, io non odio il golf: io amo il golf, lo adoro perché mi permette di esprimermi ma mi pare di avere smarrito il mio focus. E questo non è un bene, perché a volte mi sembra di non sapere perché sto colpendo tutte quelle palline, dedicando tempo e denaro ed energie ad una attività che, come dice Marco Soffietti, ti ripagherà sempre e comunque solo per un centesimo rispetto agli sforzi che ci hai messo.

Penso anche alla conversazione avvenuta tra Bob Rotella e Darren Clarke il giorno prima del British Open del 2011, raccontata nel suo The Unstoppable Golfer. “Doc” disse tra l’altro a Clarke:

You don’t need to spend seven hours a day here practicing. You already know how to play golf. You need to chill. You don’t need to spend every daylight hour here trying to find your game. It’s already inside you.

Quindi? Mettendo insieme tutte queste considerazioni, che cosa viene fuori?

Non ho la risposta definitiva e precisa, ma penso qualcosa del genere: rilassati, Daviquez, prendi il golf come un divertimento e non come un lavoro, non è sempre necessario volere controllare tutti i dettagli e non sei sempre alle Olimpiadi. Que será será.

Commenti

luca testa ha detto:

Hai bisogno di un break. Molla per un po’, e quando ti viene voglia di giocare tornerai con piu’ voglia e con la mente sgombra

Fabio Scaliti ha detto:

Daviquez, sai come la penso. Tolto il fatto che il tuo obiettivo era (è) diventare professionista, non è da tutti prendere consapevolezza dei propri limiti, giungendo a toccare effettivamente con mano quell’asticella.

Io penso di esserci quasi arrivato, più di tanto, in bici, non riesco ad andare. Sto limando i tempi su certe salite, alzo le medie di percorrenza su certi percorsi di qualche decimo di km/h, ma non faccio più quei salti di livello che ho fatto in questi due anni.

Il limite non è una sconfitta, un blocco: il limite ti de-limita, de-finisce. Dice chi sei. Ti completa e rende unico. È il profilo della collina al tramonto, il letto del fiume. Senza quella linea, non saremmo.

Ciao!

Fabio

katia ha detto:

ciao gianni, bello quanto scrivi. Il golf per te, forse, è come il canto per me: passione, amore, sacrificio. La pretesa illusoria di progredire senza avere battute d’arresto è una caratteristica comune negli esseri umani… occidentali, soprattutto. Se resisti alla tentazione di stabilire che la parola limite delimiti un punto d’arrivo, se resisti e vai oltre, troverai i tuoi spazi infiniti, dove sei unico e irripetibile, nel gioco come nella vita. Non mollare mai, se ciò che senti è Amore, non mollare mai… Ne verrai ripagato in modo esponenziale, ne sono certa. Io ho deciso di cominciare a giocare a golf, tra una cantata e l’altra. Tu prova a cantare tra una buca e l’altra. Ci sono poche cose che contano veramente nella vita: l’amore e la passione contano. Un abbraccio speciale, sperando di rivederti presto!!! Katia

giannidavico ha detto:

Ma che belle parole, tutte quante – grazie mille!

Sì, come dice Fabio il limite non è una sconfitta, è il nostro essere umani. Questo mi piace.

E Katia comincia a giocare a golf: anche questo mi piace, molto!

Io sono abbastanza sicuro del fatto che le mie difficoltà recenti sono molto più mentali che tecniche. Sto cercando – con difficoltà – di fare miei i suggerimenti di Roberto Cadonati, l’idea di lasciare andare le cose per – in sostanza – ritrovarle poi dentro di sé. Il mio golf di adesso è soprattutto divertimento, se i colpi non sono tutti perfetti va bene lo stesso.

I miei limiti sono io, insomma – è bello che sia così.

[…] recente post su un blog dell’amico e collega Gianni Davico (https://giannidavico.it/campopratica/2012/07/27/limiti-e-dintorni/) mi ha dato l’idea per fare il punto dei miei risultati come ciclista […]

[…] recente post su un blog dell’amico e collega Gianni Davico (https://giannidavico.it/campopratica/2012/07/27/limiti-e-dintorni/) mi ha dato l’idea per fare il punto dei miei risultati come ciclista […]

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