Mappare i green

green map
Nel golf si parla soprattutto di swing, ma è un fatto che le gare si vincono spesso sui green – non per nulla e non a caso si dice drive for show, putt for dough.

Ebbene, per pattare bene occorrono un’ottima tecnica (ovvio), un putt all’altezza della situazione (ovvero, non necessariamente da 300 euro ma dell’altezza, lie e loft adatti alle nostre caratteristiche) e la capacità di saper leggere bene i green.

Capacità che è sì arte, ma è anche tecnica; ovvero che si può acquisire e migliorare con la pratica (costante – non dimentichiamo l’insegnamento di Bob Rotella), ma anche con gli strumenti adeguati. Ecco come.

L’altra settimana ho iniziato a mappare uno dei nostri green. Sono andato sul green con carta e penna e ho cominciato a disegnarlo; poi ho segnato le pendenze; poi ho provato diversi putt per verificare le micropendenze.

Ma facendo questo mi sono reso conto che mi mancava qualcosa, ovvero che quel sistema artigianale non mi avrebbe portato lontano. Non basta la bolla da carpentiere che uso ogni tanto, serve qualcos’altro.

L’ideale potrebbe essere l’AimPoint, che però in pratica non è applicabile (non almeno qui in Italia, non da noi golfisti della domenica). (È un sistema che adopera ad esempio Edoardo Molinari.)

Mi piace il BreakMaster.

Interessante questo articolo di David Owen.

Non ho la soluzione insomma (non ancora, almeno), ma il problema ce l’ho ben chiaro in mente.

E so qual è il sugo di tutta la storia: la tecnica più raffinata ti riporta alle origini, al nocciolo e alla sostanza delle cose (mappare un green quando piove forte, per esempio, è un gran sistema – benedetta pioggia, per una volta almeno!). Insomma tutta la tecnica, tutti gli strumenti e tutta la conoscenza alla fine riportano all’ essenziale, ovvero all’occhio, al tocco, alla sensibilità e all’esperienza.

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