Coronavirus, tempo di fare altro. Oggi vorrei commentare una foto che da anni ho sotto gli occhi, e che rappresenta al meglio il mio dolce mito e – si parva licet – quello che io vorrei essere nel golf negli anni a venire.
Ce l’ho sotto gli occhi perché è raffigurata nella copertina della miglior biografia a mio avviso esistente su Ben Hogan (ne avevo parlato qui).
La foto è stata scattata da Jules Alexander (fotografo la cui storia meriterebbe un post tutto suo) a Winged Foot mercoledì 10 giugno 1959, il giorno precedente l’inizio dello US Open. Hogan, che all’epoca aveva già dato – golfisticamente parlando – il meglio di sé, stava giocando il suo giro di prova con Claude Harmon, che era il pro di casa.
Sul green della 15 Hogan, dopo una breve pausa nella casa di Freddie Corcoran – l’autore della foto pensa per fare pipì –, si accese una sigaretta e si appoggiò in maniera molto rilassata e tranquilla al putter, rimanendovi per un certo tempo; sempre Alexander pensa che fu per dare al fotografo una possibilità in più di fare il suo lavoro.
(Curiosa nota laterale: la foto mostra i pantaloni abbottonati in maniera imperfetta, e Alexander pensa che Harmon gliel’abbia fatto notare di lì a poco, visto che sul tee della 16 erano a posto.)
Ebbene, in questa foto c’è tanto Hogan: c’è la quiete dell’uomo, la pace di chi ha raggiunto quel che voleva; e poi l’uomo nel suo ambiente naturale, e l’eleganza tranquilla di chi non ha bisogno di fare rumore per far sapere che c’è.
Ed è anche una sorta di augurio: il golf che vorrei per me e il golf come vorrei che fosse in futuro.
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