Il titolo di questo post prende spunto da un tweet di Tiger, allorché sette anni fa stava recuperando dopo l’intervento alla schiena dell’anno precedente. Ma, molto più prosaicamente, l’idea è di aggiornare i miei venticinque lettori su come stanno andando le lezioni sul driver, che mi sto impartendo dal 4 dicembre scorso, con la speranza che le mie riflessioni possano essere di aiuto o di spunto per qualcuno.
Un breve riassunto: un maestro non può insegnarmi veramente quello che desidero, perché lui conosce lo swing mille volte più di me, ma io conosco il mio swing mille volte più di lui. Non che le lezioni non siano necessarie, ma in un ciclo di lezioni un maestro può solo scalfire la superficie, ovvero andare a correggere i macroerrori, lasciando di fatto la situazione invariata. Allora ho deciso di diventare il maestro di me stesso.
(Non voglio assolutamente negare l’importanza di un maestro – alla decina di maestri che mi hanno seguito dal 2004 a oggi posso solo dire grazie –, ma dico che in certe fasi probabilmente è più redditizio mettersi di buona lena e con santa pazienza a lavorare per conto proprio per vedere che cosa viene fuori.)
A partire da quella mia credenza, e con l’obiettivo indicato, stimo di aver tirato un migliaio di driver in campo pratica da quel giorno. Non ho – volutamente – ancora chiesto di farmi fare un video, perché preferisco lavorare sulle sensazioni (sulla scia di quanto mi insegnarono i miei antichi maestri); ma i risultati stanno arrivando, e dentro di me avverto delle differenze nel movimento, che soprattutto si traducono in un volo di palla più controllato – il fine ultimo di tutta questa fatica.
Certo, ci sono giorni in cui mi sembra che tutto questo lavoro sia una gran perdita di tempo; in quei giorni è solo Saint Exupery che mi salva:
È il tempo che hai dedicato alla tua rosa che ha reso la tua rosa così importante.
Ma, d’altra parte, ci sono giorni in cui l’entusiasmo è alle stelle, proprio perché queste cose le facciamo solo per noi stessi, per dare un senso al nostro tempo. Pádraig Harrington, parlando di the King, descrive quel sentire in maniera limpidissima:
I remember watching Arnold Palmer, playing the Champions Tour at seventy. He was getting giddy with excitement that he had suddenly found something. I know I’m cynical, but sometimes golf is pretty good, isn’t it?
[Ricordo Arnold Palmer giocare nel Champions Tour a settant’anni. Era pieno di gioia ed eccitazione perché all’improvviso aveva scoperto qualcosa di nuovo. So di essere cinico, ma a volte il golf non è così male, no?]
In ogni caso, trovo molto utile aver analizzato nei minimi dettagli il mio swing, e aver elencato i punti deboli: da una parte è vero, come dice Ernest Jones, che “non si può dividere lo swing in parti e avere comunque uno swing”; ma allo stesso tempo essere consapevole degli errori, e soprattutto dell’importanza relativa di ciascuno, è fondamentale per poter cercare di (iniziare a) correggerli. Questo si traduce in maggior sicurezza nel colpo.
Quindi mi pare di essere arrivato a una sorta di quadratura del cerchio: soprattutto, ho sperimentato di nuovo la magia dell’imparare qualcosa di nuovo, cosa che in campo pratica non mi accadeva da tanto tempo. Perché alla fine questo mi sembra il punto: impegnarci al massimo per insegnare a noi stessi per imparare cose nuove, e applicare quella nuova conoscenza per aumentare il divertimento in quello che, alla fine, è soltanto un gioco.
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