Ho passato un bel pomeriggio in campo pratica, ieri, uno di quelli che piacciono a me, concentrati e lunghi. La prima ora, in particolare, è stata fruttuosa perché la mente era fresca, l’impegno tanto perché tanta era la motivazione che mi spingeva, tanta la riflessione prima e dopo ciascun colpo.
Sono stati solo ferri dispari, e in particolare il ferro 9 con un tee. Un colpo che non ha difficoltà tecnica alcuna, ma che mi ha fatto penare non una ma due volte domenica, a questa bella gara al Feudo d’Asti. Il risultato dei due giorni è stato discreto ma non ottimo (73 – 75; è un par 70 semplice); e però alla fine, facendo i conti, ho capito che mi è mancato almeno uno di quei due colpi per prendere punti per l’ordine di merito, che è uno dei motivi principali per cui partecipo a gare del genere.
(Tra parentesi dirò che è cambiato molto il mio approccio al tipo di gare, ultimamente tendo a concentrarmi quasi esclusivamente su quelle del calendario Federgolf.)
Le due situazioni: le buche 5 e 7 del Feudo sono due semplicissimi par 3, alle condizioni di domenica raggiungibili col pitch nel primo caso e col ferro 9 nel secondo; e in più il green della 5 è largo come un appartamento di lusso. Non dovrebbe dunque essere cosa complicata prendere il green; eppure nel primo caso il mio ragionamento è stato che non sarei arrivato col pitch (la distanza era di 117 metri – grave errore mentale non credere nelle proprie capacità), così ho tirato un mezzo ferro 9 agganciandolo e facendo pasticci a seguire. Alla 7 il ferro 9 era il bastone perfetto, ma ho spedito la palla in acqua con un gancio. Due colpi obiettivamente difficili da eseguire in questa maniera!
Allora ieri ho praticato soprattutto quel colpo, e ho imparato molto aggiustando le cose. (Che poi qualunque “aggiustamento” è una toppa che metti al tuo swing, non potrà mai essere un rimedio definitivo; ma in questa fragilità c’è buona parte della bellezza del gioco.)
Però c’è un secondo fatto che riguarda domenica, meno appariscente ma decisamente molto più importante, di cui voglio parlare oggi. Il discorso parte da lontano. All’ultimo giro dell’Ambrosiano (la mia peggior prestazione dell’anno, un 83 che mi trafigge ancora ogni tanto) giocai con un signore che è diventato il mio modello attuale di golfista (non lo sapevo allora, in quel giorno lo odiavo e basta per quanto era bravo e calmo). Per diversi motivi:
– è un dilettante decisamente molto forte;
– è elegante, sicuro di sé;
– ha i capelli bianchi;
– sa stare sul campo,
che sono tutte qualità che ammiro in un golfista. Perché se anni fa sognavo di diventare un pro, oggi l’obiettivo è cambiato: essendomi reso conto che quei sogni erano onesti ma troppo al di sopra delle mie reali possibilità ho capito che diventare un golfista senior al top in Italia nella categoria, entrare nella Nazionale, essere insomma un modello (per me stesso innanzitutto) è un obiettivo ancora più bello e più pieno da avere.
E quindi questa persona, senza saperlo e senza volerlo, semplicemente col suo saper stare in campo, saper fare (e dire) le cose giuste al momento giusto, mi ha insegnato tantissimo. E io domenica ho giocato tutto il giorno sentendomi così, sicuro di me e del mio gioco; e i due doppi mi hanno scocciato, certamente, ma la cosa bella e di gran lunga più importante è la reazione al disastro, è reagire dopo le difficoltà pensando ai birdie che ti attendono svoltato l’angolo (il golf è sempre un’ottima metafora della vita) e alle opportunità che ti aspettano. Ecco, io domenica ho giocato così, leggero e sicuro, e questo sarà il mio atteggiamento nel golf d’ora in poi: capelli brizzolati, sorriso, fiducia nei propri mezzi, divertimento, leggerezza.
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