Apr 18

Torno oggi da un evento, tenutosi a Roma, della durata di un paio di giorni di presentazione prodotti destinati al golf, di cui scriverò su “Il Mondo del Golf Today” di giugno. Ho parlato (poco), ho soprattutto ascoltato e osservato. E mi sono fatto qualche idea in più sullo stato del golf nostrano.

I presenti, una cinquantina, erano tutte persone molto competenti all’interno del mondo del golf, provenienti da numerosi paesi (pochissimi dall’Italia, e già questo è indicativo).

A tavola, tra i vari discorsi è stato inevitabile parlare di numeri. E non che non ne fossi consapevole, ma a sentire il numero di golfisti praticanti nei vari paesi c’è comunque da restare basiti. Non siamo nemmeno nei primi dieci paesi europei.
Perché noi siamo tanto indietro?
Perché da noi il golf continua ad avere quest’aura di esclusività, quando i costi – non sempre, ma in diversi casi – possono essere paragonabili a quelli di una palestra?

Un collega mi diceva che un teorico massimo, calcolato come percentuale dei golfisti sugli abitanti di un paese, è del 5% – il che per l’Italia significherebbe 3 milioni di persone, una cifra lontana anni luce dai novantamila golfisti tesserati attuali (di cui praticanti effettivi? Forse non molti più della metà).

Anche l’aria che si respirava mi ha colpito tanto, ho percepito la differenza che sovente c’è tra l’approccio nostrano al golf e quello di un professionista dal respiro europeo. C’è del lavoro da fare. Le cose si fanno ma non possono essere improvvisate. Per fare marketing golfistico, per vendere golf ci vogliono preparazione e studi.

E poi c’è il Marco Simone, sede della Ryder del 2022, in cui ho avuto la fortuna di giocare ieri. Il campo è assolutamente magnifico, ma come la mettiamo con l’ospitalità, con le infrastrutture? La mia paura – che vedevo condivisa da molti – è che quest’occasione grandissima che abbiamo possa andare sprecata, e che a seguire non possa passare un altro treno così carico di opportunità.

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Mar 20

Sono passati tre mesi dal mio ultimo post su questo blog, che era un confuso arrivederci. Avevo bisogno di silenzio, di pensare senza scrivere nulla per un po’.

Ringrazio le persone che si sono fatte sentire in questo periodo. Non è che io non abbia pensato al golf, è solo che dovevo ripartire da zero per via della perdita dell’amico mio più caro. “Perché lui e perché non, per esempio, io?”, mi sono chiesto tante volte – lui mio coetaneo, lui nel fiore dell’età; ma non c’è risposta a questa domanda, e del resto non è che importi parlarne qui.

Qui dirò semplicemente che con oggi riprendo le mie elucubrazioni golfistiche; i temi saranno sempre gli stessi, anche se mancherà quella puntualità cartesiana del venerdì. Insomma scriverò qui quando avrò qualcosa da dire, senza scadenze precise.

Io quindi ci sono. E i commenti, come sempre, sono i benvenuti.

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Giu 03

Dan
Tramite questo articolo ho avuto in questi giorni la conferma che il Dan Plan è giunto al capolinea, e non con l’esito sperato. Dato che in questi anni ho considerato Dan McLaughlin come la mia “controparte” americana, e dato che ho preso tanti spunti da lui e dal suo progetto (ne ho parlato, per esempio qui, qui e qui), è questo il momento per proporre alcune mie considerazioni finali.

Per prima cosa, il massimo rispetto va a questa persona e al suo progetto. Certo, sarebbe facile dire adesso – il Cigno nero ce lo ricorda – che l’obiettivo era troppo al di sopra della sua portata, ma il fatto di averlo pensato, sognato, visualizzato e poi cercato è un grande merito di Dan.

Del resto anch’io qualche anno fa avevo l’idea di diventare un professionista (all’epoca ciò era consentito, poi il limite è stato riportato a quarant’anni di età: cosa che se da un punto di vista sportivo trovo corretta, non posso certamente dire lo stesso da un punto di vista per così dire costituzionale, ovvero di eguaglianza, ovvero di pari opportunità). Quando mi è stato chiaro, circa tre anni fa, che ciò non sarebbe stato possibile ho elaborato il mio piano B, che è quello di arrivare nei dintorni dello 0 entro i miei 55 anni di età. (Poi qui ovviamente si inseriscono considerazioni relative all’invecchiamento e alle motivazioni di cui ho parlato tante volte e che non ribadirò ora.)

Del resto la teoria delle 10mila ore – a proposito: sto leggendo proprio in questi giorni l’ultimo libro di Anders Ericsson, di cui dirò senz’altro nelle prossime settimane (ed è tra l’altro ironico che proprio questo libro ricordi in maniera ampia la storia di Dan) – dice “semplicemente” che con tale numero di ore di deliberate practice puoi raggiungere un livello professionale, ovvero di esperto, in qualunque disciplina umana (semplifico, perché la teoria è più complicata di così; e comunque si tratta di qualcosa oggetto di dibattito nella comunità scientifica, non certo di assiomi). Però da “esperto” a “giocatore del tour maggiore” ci sono almeno un paio di salti di categoria. E comunque non esistono allo stato prove che sia possibile partire da zero a trent’anni e arrivare a competere con i migliori. Perché in effetti è vero quel che dice Silvio Grappasonni quando Ernie Els esce dalla sabbia: che si vede che quel movimento l’ha praticato all’infinito sin da bambino, e dunque per lui è del tutto naturale. Al contrario le mie uscite dal bunker, come immagino quelle di Dan, per quanto praticate e raffinate col tempo saranno sempre “costruite”, avranno sempre e comunque un che di posticcio, di appiccicato che le rende di una categoria inferiore.

Sarebbe certamente interessante che Dan facesse un’analisi di questi anni, una sorta di bilancio di questa esperienza che è assolutamente eccellente. (È molto facile per noi, “della razza / di chi rimane a terra”, guardare che cosa fanno gli altri e criticare; ma essere nell’occhio del ciclone, ovvero buttare il cuore al di là dell’ostacolo è un atto che merita la massima considerazione e il massimo rispetto.) Questo sarebbe utile a noi golfisti “normali”, per cercare di capire qualcosa di più dell’apprendimento.

Lo dice anche l’autore dell’articolo succitato:

But if Dan leaves his “Plan” like it is now, we’ve gained nothing. We don’t know anything more about the ten-thousand-hour theory than we did before. I doubt Dan will do any kind of post-mortem as it really isn’t his style. He will say that he wants to focus on the positive and to keep looking forward. But, in failing, I believe that Dan has brought one of the major problems facing golf to the forefront. How people learn to play the game is broken and it needs to be fixed.

In ogni caso il punto centrale non cambia: è solo la pratica concentrata e focalizzata che ti farà diventare il golfista migliore che tu possa diventare. E questo Dan l’aveva capito da tempo. Non sei arrivato in fondo ma te la sei giocata bene, hai il mio massimo rispetto per questi anni che hai dedicato a questa avventura. Well played, dear Dan.

Mar 11

che-fidel-golf1
Oggi segnalo questo articolo di Emmanuele Macaluso, esperto di marketing, per gli aspetti positivi che può avere nella rinascita del golf italiano. E lo faccio commentando alcune tra le soluzioni che propone.

(Io, incidentalmente, alcuni spunti li avevo già espressi qui.)

La prima soluzione che Macaluso suggerisce è quella di “inserire il circolo all’interno di un contesto turistico di incoming attivo (marketing turistico)”.

Questo lo condivido pienamente. Già nel 2012 scrivevo:

Pensiamo allo sviluppo che regioni come la Calabria, la Puglia e la Sicilia potrebbero avere quando il golf fosse inserito in un programma organico di crescita, basato innanzitutto sul turismo. Ci sono in quelle terre ricchezze che il mondo intero ci invidia.

Futuregolfersmr
Altro punto interessante sottolineato da Macaluso:

Bisogna rendere il socio fiero di far parte del proprio circolo e del suo brand.

E questo lo sposo in pieno, in primis da un punto di vista personale: io sono assolutamente fiero di fare parte del mio circolo, così come – esattamente come – sono fiero oggi di aver fatto parte per dieci anni del mio vecchio circolo.

Inoltre: il management, ovvero la gestione economica del circolo, ovvero il considerare un golf club alla stregua di qualunque attività economica; con tutte le attenzioni agli stakeholder che ne conseguono.

Insomma c’è tanto da riflettere e tanto da lavorare. Ma anche opportunità immense, pronte per essere colte. Mi sovvengono – capitano a fagiolo, diciamo – le parole di Jeff Tarde nell’editoriale di “Golf Digest” di maggio 2009:
Obama-Golf

Private enterprise has been involved in golf sponsorship and entertainment for 100 years, not because the boss plays but because it’s good for business. Bank of America officials told the Sports Business Journal that for every $1 spent on sponsorships, $10 in revenue and $3 in earnings is brought in. […]

When we come out of this cycle, and we will, the allure of our sport based on its values and ethos will still prove good for business. The best stimulus package is a robust golf economy, because nobody out-travels, outspends or out-contributes a golfer.

Dic 25

Sono andato a verificare: in sette anni completi di blog e 345 articoli, non ho mai scritto qui il giorno di Natale. In parte è questo il motivo per cui oggi utilizzerò questo spazio solo per prendere commiato per quest’anno dai miei venticinque lettori.

Diciamo che da una parte mi sovviene Vittorini:

Ci vorrebbe silenzio, silenzio per parecchie generazioni.

E dall’altra William Stafford:

On those days I just lower my standards.
[In quei giorni, semplicemente, abbasso i miei standard.]

Che è la risposta del poeta agli amici che gli chiedevano, visto il suo personale impegno a scrivere poesie tutti i giorni, come facesse nei giorni in cui non era particolarmente ispirato. Mi rendo conto che aver preso l’impegno con me stesso di scrivere di golf qui tutti i venerdì del mondo può dare come risultato pezzi meno che memorabili. Ma fa parte del gioco (come tirarne 85, per dire: capita) e in fondo non importa: essere arrivato fino a qui è un bel traguardo di per sé.

E poiché adoro le citazioni ricorderò ancora le parole di Cesare Pavese (Il mestiere di vivere, 16 agosto 1950):

La mia parte pubblica l’ho fatta – ciò che potevo. Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti.

In pentola ci sono comunque temi interessanti – recensioni, interviste oltre ai “soliti” racconti delle mie epiche battaglie in campo pratica. Oggi ringrazio i miei lettori, ci vediamo il prossimo anno.

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Nov 27

venn
Il golf, in questo periodo dell’anno, giocoforza rallenta. Diminuisce la temperatura, diminuiscono le ore di luce, aumenta in parallelo lo sforzo necessario per uscire di casa e affrontare i rigori dell’inverno. Insomma devi essere molto motivato per tenere alta la guardia.

La luce, soprattutto. Ricordava Ben Hogan:

The only thing golfers really need is more daylight. There isn’t enough time during the day to practice and play, to key one’s game up to where it should be.
[La sola cosa di cui il golfista ha realmente bisogno sono più ore di luce. Non c’è abbastanza tempo durante il giorno per praticare e giocare, per portare il proprio gioco dove dovrebbe essere.]

In più mi accorgo che col passare degli anni anche il freddo diventa meno sopportabile. Certo, alla fine sono tutte scuse, si capisce; ma scuse che hanno un perché.

E poi mi sembra che questo periodo dell’anno renda tutti più malinconici. David Owen:

Quite a few members of my golf club think our course is closed for the season. That’s good, because it keeps most of the complainers at home, but even without them golf is becoming problematic. By the time the frost has melted, there’s not a lot of daylight left.
[Un numero significativo di membri del mio circolo pensa che il percorso sia chiuso per l’inverno. Questa è una buona cosa, perché tiene molti piagnoni a casa, ma anche senza di loro il golf è problematico: quando la brina si è sciolta non rimane molta luce del giorno.]

John Updike aveva scritto cose interessanti. Io avevo scritto qualcosa qui.

Sta finendo la mia stagione di golf numero dodici, inizierà presto la numero tredici; ma da qui a inizio marzo sarà lunga… Prossima fermata Sanremo, a fine gennaio. Per il resto, quando la temperatura lo permette (almeno 5 gradi, al di sotto non è produttivo né divertente), quel po’ di pratica che basta – quella che la poca luce permette – e qualche partita con gli amici: il golf invernale è questo.

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Gen 10

Nazionale
L’ultimo Mondo del Golf pubblica una lettera, firmata da una cinquantina di partecipanti alla preselezione al Golf Nazionale, i quali si lamentano per le condizioni del campo sul quale sono stati costretti a giocare una gara così importante per loro (il che è comprensibile: in sostanza di tratta di un concorso pubblico che assegna dei “posti” di lavoro).

Alcune considerazioni.

Il disagio comincia giorni prima, perché ogni anno è una lotta con i soci del circolo per la prova campo; giustamente un giocatore vuole provare il percorso prima e, ogni volta, tra le gare e il dover far passare avanti i soci del circolo non si riesce mai a concludere niente.

Questo è effettivamente un problema, uno che ho sperimentato in prima persona nel 2011, quando feci la stessa cosa. Certamente non si può pretendere che degli aspiranti professionisti ricevano lo stesso trattamento dei professionisti (in fondo quando sei là giochi soltanto a fare il pro), però visto che in palio non c’è solo una medaglia ma una possibile carriera – otto di questi ragazzi, comunque vada, diverranno maestri –, si tratta di una questione che la Federgolf dovrebbe affrontare: perché non si risolverà da sé.

Il campo pratica viene definito “vergognoso” nella lettera. Ebbene, anche questo credo sia abbastanza vero. Anche qui, non è che possiamo costruire autostrade a sette corsie perché a Ferragosto ci sarà il pienone, però le condizioni in cui trovai quel campo pratica due anni fa (e risulta evidente che le cose non sono cambiate nel frattempo) non sono di fatto adeguate ad una gara del genere.

Perché non investire qualche soldino in questa gara? Perché non investire nel futuro del golf?

La nota stonata a questa lettera, peraltro garbata e civile, è il fatto che sia firmata: coloro che l’hanno scritta hanno chiesto di restare anonimi. E questo, sinceramente, non lo condivido: non lo condivido, ragazzi, perché vi pone in una posizione di svantaggio. Avete tutte le ragioni per lamentarvi, ma fatelo con nome e cognome. Metteteci la faccia, così chi sta dall’altra parte dovrà fare lo stesso – o almeno sarà costretto a pensare di farlo.

Perché un grosso problema nel confrontarsi con le organizzazioni – parlo in generale, non del caso specifico che mi auguro avrà la risposta che merita – è che esse non hanno onore, non hanno faccia: sono un corpo grandissimo senza testa, che va avanti per la propria strada senza guardare i diritti di nessuno. (Mai avuto a che fare, chessò, con Equitalia o con l’INPS?)

Quindi plaudo la vostra lamentela e sono con voi: ma uno per uno, con nome e cognome.

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Ott 11

Ho perso la finale del match play del mio circolo, l’unica gara da noi significativa da un punto di vista sportivo. Ci tenevo e mi dispiace. Mi ha bruciato per il pomeriggio e la notte seguente; poi mi è passata – ha vinto chi ha giocato meglio, non c’è nulla di strano in questo –, e ne ho ricavata una lezione importante.

Ho capito che al mio circolo non interessa la competizione: il mio circolo è – per scelta (assolutamente legittima, ci mancherebbe) – un’associazione ricreativa, dove la competizione non entra in nessuna maniera. (Quasi nessuna, via, perché io ce la porto – e come!)

La mia visione del golf cozza in maniera decisa con questo modo di vedere le cose, perché non mi piace vedere quegli swing orribili e quelle palle che non si staccano da terra e fanno cinquanta metri. Ovvero, o facciamo le cose per bene oppure non ci mettiamo nemmeno.

Non solo, ma vedo il golf come mezzo verso un fine, che è lo scoprire i propri limiti e cercare di mettere l’asticella sempre un po’ più in su. Il golf in questo è chiaramente uno strumento, quasi una scusa: è tutto nella tua mente. È nella mente che stanno problemi e soluzioni.

Non sono d’accordo con questa scelta. Non sono d’accordo e lo dico – che si sappia. Non posso farci nulla e pazienza, ma il golf come passatempo non fa per me, no no.

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Lug 19

Io mi ritengo un giocatore corretto – mi presento sempre in campo con l’abbigliamento adeguato, riparo tutti i miei pitch mark e sempre qualcuno di più, saluto tutti coloro che incontro (conosciuti e non) e così via. Lunedì scorso, però, mi è capitato l’ennesimo episodio per cui evidentemente un mio dato comportamento dà fastidio.

Ero a Torre dei Ronchi, il campo era pressoché deserto, e io – dato che questo campo non presentava nessuna sfida per me, nessun ostacolo, nulla di nulla – ho giocato in diverse buche due o tre palle, ho fatto diversi putt e soprattutto tantissimi approccini dai 10-15-20 metri.

Questo ha però dato fastidio, perché ad un certo punto un socio, incaricato dalla segretaria, mi ha detto – in maniera molto garbata e gentile – di giocare una palla sola.

Appena me lo ha detto io, che non volevo fare polemica con nessuno, mi sono trasferito in campo pratica. Però un paio di considerazioni vorrei farle.

La prima è questa: il problema non è tanto che io faccia danni al campo (perché effettivamente non ne facevo), ma è piuttosto una questione di invidia, ovvero ma perché quello può fare così e io no?

La seconda considerazione è una domanda che faccio a tutti i segretari di circolo, e chi vorrà dire la sua sarà il benvenuto: perché un golfista, diciamo così, bravino non ha diritto di fare una prova campo, ovvero di provare più di un colpo, e dovrebbe invece giocare solo una palla, quando questo non arreca nessun danno di nessun tipo né al campo né al circolo né a chi segue (perché io faccio ben attenzione che non ci sia nessuno dietro di me – e questa è un’abitudine che ho preso agli inizi, quando mi vergognavo che mi vedessero giocare all’army golf)?

(Mi viene in mente l’inizio del film La leggenda di Bagger Vance in cui il protagonista, ormai anziano e a cui viene un infarto sul campo, rievoca i momenti in cui, ragazzetto, scavalcava le recinzioni e sfidava le possibili ire dei soci pur di tirare qualche vero colpo in un vero campo. Non è vero golf, questo?)

Ecco, queste cose io nei campi, a partire dal mio, le faccio. So che non sono tanto tollerate, capisco più o meno il punto di vista di chi non le tollera, però penso anche che per diventare bravi questi passi siano necessari. Insomma per me il golf è divertimento, certo; ma è anche impegno, serietà, dedizione, miglioramento, superamento dei limiti eccetera. E in virtù di queste considerazioni non mi sento in colpa per questo comportamento, anche se so che è ai limiti del consentito: quando non faccio danno né al campo né a nessuno che è sul campo, vorrei avere la libertà di giocare due palle, di giocare tre palle, di riprovare i putt e così via – di fare insomma quello che si fa in una normalissima prova campo.

Questo non per darmi importanza, ma perché io il golf lo intendo in questa maniera, e penso che sia peggio – molto, molto peggio – fare aspettare chi sta dietro di te senza dare il passo piuttosto che non tirare due palle.

Essendo fatto in buona fede, e con assoluto amore verso questo sport, e rispetto per tutte le persone, sia che nel golf ci lavorino ovvero che ne traggano divertimento, credo che questo dovrebbe essere consentito – tollerato, via –; e allora mi piacerebbe che qualcuno “dall’altra parte” mi spiegasse il suo punto di vista.

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Mag 10

Io ho un problema con le gare.

Il problema è che le gare di circolo mi danno ormai pochissimi stimoli: che gusto c’è a vincere una gara che potrebbero vincere in quattro o cinque? Sì, è bello l’applauso dei tuoi pari, ma tutto finisce lì. (La prima volta che vinsi una gara, in un giovedì qualunque di otto anni fa, quello sì fu un avvenimento!) Il vero premio è lo scendere di handicap, cosa che però ovviamente capita di rado.

Il problema è che i giocatori bravini come me non sono sufficientemente bravi per fare il salto di categoria, e si ritrovano dunque in un limbo da cui non sanno come uscire.

Il problema è comune, vedo, a tanti giocatori. Me ne accorgo per esempio leggendo una lettera pubblicata sull’ultimo Mondo del golf, dove un giocatore con hcp 3,2 si lamenta di non poter più entrare nel field delle gare ufficiali e simili.

Prendiamo ad esempio il trofeo Glauco Lolli-Ghetti a Margara: vi partecipai nel 2010 con un hcp di 5,5, che era sulla linea del taglio. Ma l’anno dopo il taglio scese a 3,9, e a 2,3 nel 2012, cosa che mi ha impedito di prendervi parte. E in genere il taglio delle gare ufficiali è ormai intorno all’1. (Ci arriverò, un giorno.)

Insomma il sistema premia – giustamente, credo – i giocatori più bravi, che sono spinti a partecipare alle gare più importanti. E io penso alla montaliana Esterina:

Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.

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