Dic 11

Quando ho preso per la prima volta in mano un bastone da golf, il 7 febbraio 2004, avevo la testa sgombra da qualunque pensiero. C’era l’imbarazzo di trovarmi in un luogo sconosciuto a compiere un gesto del tutto innaturale, certo; e c’era il ritorno, dopo tanti anni, a qualcosa che assomigliava ad uno sport; ma per il resto la situazione era come la pagina bianca per lo scrittore.

Poi col tempo sono venute tante altre – mille – cose che del golf fanno contorno. Ad un certo punto, dopo l’estate del 2009, mi è stato chiaro che non mi bastava più fare del golf un bel gioco, ma volevo andare oltre, pavesianamente volevo mangiarmi una collina, volevo essere bravo, volevo diventare bravo, volevo diventare il golfista migliore che avrei potuto diventare.

E a quel punto sono cambiati i confini del mio golf, perché inevitabilmente sono venute tante altre attività collaterali che sono di fatto necessarie per raggiungere il tuo massimo teorico. Ne elenco qualcuna.

L’aspetto psicologico. Fondamentali sono state in questo senso per me le clinic tenute da Andrea De Giorgio, dove Roberto Cadonati ha portato certamente un valore aggiunto – grande. (Oggi ricordo con grandissima nostalgia e piacere immenso le clinic di Agadir, un misto di amicizia, competizione e tecnica, una delle espressioni più belle del golf secondo me.) Poi naturalmente un grande supporto me lo hanno dato i vari Rotella, Csikszentmihalyi, Guadagnoli, Cohn, Bell eccetera.

Il pilates. Luciano!

La forma fisica in genere. Se io potessi fare oggi una gara di corsa o di bici con il me di vent’anni fa, quand’ero al mio teorico massimo fisico, vincerei io – per distacco o per abbandono – dieci volte su dieci.

Il clubfitting. (Federico Panetta, ovvio.)

Et cetera.

Be’, questo lunghissimo preambolo per dire che ieri ho aggiunto un altro tassello: una visita dall’osteopata. È qualcosa che sta ai confini tra il golf e la salute, o meglio abbraccia entrambi gli aspetti. Degli effetti e dei benefici non so ancora dire ora, e del resto dell’osteopatia conosco pochissimo, ma mi è sembrato che potesse essere qualcosa che in qualche modo sarà utile.

Ne dirò in futuro, certamente; ma per ora ho scoperto alcune cose interessanti. Che ho una leggera scoliosi verso dx nella parte alta della colonna, e di conseguenza, che la spalla dx è più alta rispetto alla sx (dovrebbe essere il contrario). (Ho pensato ai miei genitori, bravissime persone, e alla differenza con cui queste cose sono state trattate in me bambino rispetto a quello che noi facciamo per le nostre figlie. Non gliene voglio per questo, sono cose differenti, generazioni differenti, accenti differenti sulle stesse cose.) Che l’anca e il piede sx lavorano male. Che ho una metatarsalgia.

Sono cose interessanti. Scoperte che si fanno. Anche questo è golf, dopotutto.

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Mag 17

Storia di un corpo
C’è un nemico che si annida dentro di me da sempre. Che cresce, molto lentamente, dentro di me. Un nemico che mi sconfiggerà senza possibilità di appello. Mi è stato chiaro leggendo questo libro.

Ci ho messo nove anni esatti, ovvero da quando ho preso in mano un bastone per la prima volta ad ora, per avere la sensazione di aver capito un pochino il mio swing, le logiche del movimento e del mio corpo. E ora quel libro (che tra parentesi è un capolavoro assoluto, bellissimo, lancinante, che ti tocca l’anima e la scuote nel profondo) mi chiarisce senza tema di smentita che devo fare i conti con un corpo che si trasforma. Lentamente, ma si trasforma.

Ormai al risveglio la mattina è come un habitus mentale: faccio un controllo rapido del mio corpo, ascolto le mie sensazioni per sentire che cosa mi dicono. E, ahimè, troppo spesso mi capita di avvertire un dolorino nuovo, qualcosa che prima non c’era ma che dovrò portare con me; oppure una variazione sul tema, tipicamente una varietà nuova di mal di schiena.

Con la sciatalgia, e più in generale con la schiena, è stato così. Ogni tanto sento uno scricchiolio sospetto. Sì, faccio tutto quel che devo fare – palestra esercizi corsa eccetera –, ma questo mio corpo invecchia con me.

Un mio cugino, grande sportivo, mi ha detto una frase che mi ha colpito e che condivido: parlando del lato sportivo, mi ha detto che devo imparare a convivere col dolore. Non fare sciocchezze che poi pagherei salate, ma prenderlo come un dato di fatto e passare oltre.

Non che tutto ciò non sia bello, per carità; però non sarà bello negli anni a venire accorgermi che poco a poco perderò quella fluidità di swing la cui superficie ho messo così tanto a scalfire.

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Feb 08

getting old
Venerdì scorso ho fatto nove buche al mio circolo, tutto preso dai miei pensieri sullo swing (legati soprattutto al libro di cui ho parlato proprio quel giorno, su cui sto facendo grandi riflessioni), poi sono andato in campo pratica. Ho tirato solo drive, 43 per la precisione: due gettoni più una pallina raccattata nei pressi (non esiste che io lasci intirata una pallina che trovo in giro! 🙂

Ci ho messo tanto tempo perché i pensieri fluivano. L’idea, ad esempio, di non pensare mentre si è in campo, ovvero di pensare non a tirarla più lunga ma a colpire lo sweet spot e a colpire la palla con la faccia square. Tutte cose notevoli, che richiedono tempo per essere digerite.

Verso fine pratica sentivo la schiena dolermi un po’, ma le idee erano così interessanti – il volo della palla, la curva che faceva o non faceva, e di conseguenza il tipo di impatto avuto – che non mi andava di fermarmi.

Il giorno dopo mi sentivo bene, ho fatto due ore di camminata veloce. Anche lì la schiena mi parlava in maniera abbastanza chiara, ma ho ignorato il messaggio.

Be’, due notti dopo il mio giaciglio mi sembrava un letto di Procuste, e ogni movimento era una puntura di spilli da non dire.

I pensieri sullo swing sono passati in secondo piano anzichenò, ahimè. Daviquez, impara ad ascoltare il tuo corpo!

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