Ott 07

foto©claudio scaccini - http://www.openditaliagolf.eu/2016/09/18/day-4/73open-ditaliafotoscaccini-176/

foto©claudio scaccini – http://www.openditaliagolf.eu/2016/09/18/day-4/73open-ditaliafotoscaccini-176/


A distanza di due anni dal suo ultimo articolo, ecco a seguire un altro bel pezzo di Isabella Data sul recente Open d’Italia: che è sia un resoconto da persona esperta del settore sia un’analisi valida per il futuro del movimento golfistico italiano.

Il tempo
Il Comitato di Gara ombra (quello Celeste) si deve essere riunito lassù e ha stabilito: “Quest’anno, l’Italian Open, famolo strano”. Fino al giorno prima, abbiamo avuto giorni estivi di monocorde continuità: caldosecco-caldosecco-caldosecco. Il primo giorno di Open si è affacciato l’autunno. Due interruzioni con pioggia abbondante e pericolo lampi, nel primo pomeriggio dovevano ancora finire di giocare quelli del turno mattutino. Così è stata, sin da subito, una rincorsa contro il tempo. Venerdì siamo andati tranquilli per poco: alle 14 in allarme, poco dopo inizia una pioggia violenta, tropicale. Sospensione, due tentativi di ripresa, abbandono. Orario partenze nuovamente sballato, round due insegue round uno. Meno male che l’European Tour ha un uomo meteo come quelli della Formula Uno. Sarà perché siamo a Monza, a un passo dall’autodromo, qui c’è un canale diretto con l’Onnipotente. Uomo-meteo e Comitato di Gara Celeste vengono a patti. Si riusciranno a giocare tutti i quattro giri programmati, con un sabato meraviglioso attira-famiglie e una domenica a tratti imbronciata ma con un gran finale soleggiato.
Ehi, lassù, grazie!!!

L’organizzazione
Dai, ci siamo! Siamo sulla strada giusta. Quella di trasformare il golf, sport in Italia ancora da happy few, aristocratico, in uno sport popolare come nei paesi anglosassoni ( e non solo). Grazie a Barbara (Zonchello) e Alessandro (Rogato), donna e uomo simbolo della trasformazione in atto (hanno ricevuto per questo la Pallina d’Oro dei giornalisti AIGG), e naturalmente a tutti quanti, FIG, Sponsor, Coni, Circolo, enti eccetera ci hanno creduto, partecipato, lavorato duramente. Street food popolarissimo (kilometriche le code) con ottimo fish&chips, pizze, hamburger, gelati, ma anche sana frutta. Cuscinoni da svacco giovanile e non solo (sì, ci si poteva stravaccare per terra sul tappeto green con cuscinone morbidone, davanti al megaschermo). Villaggio olimpico, mega-parco attira bambini e famiglie. Soprattutto, una meravigliosa presenza PGAI, i professionisti del golf italiano, pronti a dare lezione a tutti grandi e piccini, a far gustare cos’è il golf.
Cosa manca? Beh, c’è ancora molto da fare, sulla strada del marketing e della popolarizzazione del golf. La Federazione stessa deve farsi “più popolo tra il popolo”, se vuole attirare neofiti. Al posto dello stand del Comitato Organizzatore, nevralgico sì, al fine della perfetta organizzazione, ma non per il marketing del golf, lì, nello stesso posto, nel cuore centrale dell’Open, dove passa il pubblico e s’incrociano i flussi più imponenti di persone, lì ci deve essere un mega-stand della Federazione. Dentro, tutti. La Federazione, i Maestri, i Professionisti, gli Arbitri, i Tecnici, i Greenkeeper, i Circoli, i Campi pratica. Tutti insieme a rappresentare il mondo del golf. Tanti pannelli esplicativi, tante persone pronte a spiegare e dialogare. La Federazione poi, anticipi il tesseramento dell’anno successivo con uno sconto-Open!

Il Campione
Francesco is back! Dopo dieci anni, riacciuffa l’Open italiano. Si vede, da come sbatte il berretto sul green, che in lui si è sciolta una tensione maturata non solo nell’ultimo giro, non solo negli ultimi quattro giorni, non solo negli ultimi quattro anni. Quando è seduto alla conferenza stampa post premiazione, si vede che Francesco ha sulle spalle un bel peso. Oddio, direte voi, nel peso ci stanno anche i 500.000 euro guadagnati in quattro giorni. Un bel lavoro, pensano in tanti. A me piace guardare al di là. Pensare che Francesco non è più il ragazzo ventitreenne che ha vinto la prima volta, nel 2006, a Tolcinasco. Ora è un uomo maturo, ha una famiglia, è un campione. È un campione Ryder. Ha vinto gare importantissime, soprattutto nella prospettiva del golf italiano, gracile e ancora misconosciuto. Francesco non è più un astro nascente, è un Campione consolidato. La folla che l’ha seguito oggi è, per lui, una folla diversa. È una folla che sa che lui, se ci crede e fa il duro, è un Campione. Questo è il peso che Francesco ha ora sulle spalle. Restare, fin che può, fedele a quell’Assoluto che ha raggiunto: Essere un Campione.

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Nov 13

Oggi propongo ai miei venticinque lettori un altro interessante pezzo di Roberto Guarnieri (sul quale si veda qui e qui) alle prese con uno strumento di chiaro futuro per il golfista, il K-VEST. La parola a Roberto.


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Era da un po’ di tempo che volevo trovare qualcosa che fugasse i dubbi – ricorrenti – sul mio swing.

Quando le cose vanno bene non ci preoccupiamo, anzi crediamo di essere pronti per giocare sul tour; ma appena incappiamo in qualche giro fatto male ricadiamo nel baratro e riemergono i soliti dubbi su tecnica, sequenza, elasticità, forma fisica eccetera. Anch’io sono così, e forse mi sono messo nei pasticci da solo: perché durante una stagione golfisticamente decorosa ho voluto migliorare il migliorabile senza aspettare il solito calo di performance.

Come? Ho scoperto che un circolo a pochi chilometri da casa utilizza il K-VEST del quale ho sentito spesso favoleggiare. Dopo un paio di telefonate per raccogliere informazioni e qualche chiacchierata fatta con i soliti fidati amici professionisti per sentire le loro opinioni il risultato era più o meno unanime: da prendere non come se fosse il vangelo, non ti servirà per giocare qualche colpo in meno ma per avere una miglior conoscenza del tuo swing – insomma me lo consigliavano tutti. Telefono e prendo appuntamento con Giovanni per una sessione di un’ora.

Prima di iniziare a parlare della “lezione” vera e propria è opportuno e interessante spendere due parole su cosa è e cosa fa il K-VEST. Sostanzialmente consiste in una serie di sensori che inviano segnali al computer; questi sensori vengono attaccati al corpo per mezzo di una cintura per la misurazione pelvica, un top da mettere sulle spalle per la misurazione del torso e un sensore da infilare sotto il guanto sul dorso della mano. I dati che se ne ricavano sono la velocità di rotazione espressa in gradi delle parti misurate e gli angoli del corpo partendo dallo stance per tutta la durata del movimento. Una vera montagna di informazioni.
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La calibrazione del sistema richiede una decina di minuti circa, in piedi di fronte al sensore che riceve i dati collegato al computer. In pratica il tutto serve a far capire al computer dove mi trovo esattamente rispetto a lui, cioè a fare una specie di perimetro del mio corpo, identificando la mia sagoma e quindi dove sono collocati i sensori che mi sono stati applicati rispetto a questa sagoma e che poi si muoveranno.

Fatta questa calibrazione, sullo schermo appare la sagoma colorata del torso, delle gambe e delle mani che effettivamente inizia a muoversi in sincronia con me. Da notare che abbinate al K-VEST ci sono anche un paio di telecamere che registrano il mio swing, sia dalla front view che down the line.

Inizio a tirare qualche palla non tanto per scaldarmi (mi ero già scaldato prima), quanto per abituarmi a swingare con tutti quei sensori addosso. Confesso che mi ci sono voluti almeno una decina di swing prima di cominciare a sentirmi a mio agio e poter fare un paio di colpi che valessero la pena di essere analizzati: tanto che i primi tre colpi sono stati tre orrendi shank che mi hanno fatto pensare “ma che ci sono venuto a fare qui”. Guardo atterrito Giovanni che mi rassicura con un “tranquillo, succede a tutti”.
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Acquisiti i dati di qualche colpo fatto in maniera decente passiamo all’analisi, oddio chissà che esce fuori, la macchina sarà impietosa… Ascolto con curiosità e interesse Giovanni che con pazienza mi sciorina l’analisi dettagliata di una dozzina e più di grafici i quali contengono i movimenti di bacino, tronco e mani. Il risultato finale è più o meno quello che i miei amici pro avevano previsto dicendomi che non potevo discostarmi più di tanto da un movimento dalla sequenza corretta.

In un’altra pagina vengono riportati i dati dei punti chiave del mio swing di fianco a quelli della finestra di riferimento, che non è altro che la media dai giocatori del PGA Tour. Il paragone lo fa subito il computer, se il dato è all’interno della finestra ė in verde e se invece è fuori appare in rosso. Giovanni mi tranquillizza facendomi notare che parecchi numeri “rossi” in effetti si discostano di qualche grado se non addirittura di uno solo. La percentuale di numeri verdi è di circa il 70%, e molti dei rossi sono fuori di poco.

Cosa fare? Lavorare come un matto per inseguire la chimera di avere tutti i numeri in verde oppure decidere che tutto sommato va bene così e focalizzare l’attenzione sul parametro che si discosta maggiormente? Il buon senso vuole che opti per la seconda soluzione: dall’analisi risulta che il mio Upper Body Turn all’impatto è di soli 8° mentre la finestra dei pro è 26° – 34°. Prima di andarmene Giovanni mi da un paio di drill sui quali avrò da lavorare per i prossimi mesi prima di ritornare per un’altra sessione con il K-VEST e verificare se il lavoro ha dato i risultati sperati.
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Ora ho due serie di dati da incrociare che riguardano il mio gioco: quelle del K-VEST e quelle del Trackman fatto l’estate scorsa. Del Trackman posso dire che misura circa una ventina di dati, ma tutti riferiti dal momento dell’impatto in avanti sia della testa del bastone che della palla. In buona sostanza è ottimo per misurare il risultato finale dello swing (il famoso “moment of truth” – perfetto per il fitting dei bastoni), mentre il K-VEST non dice niente di quest’ultimo ma dice tutto o quasi su quel che succede prima e dopo.
A mio parere l’abbinamento di queste due apparecchiature è eccezionale per chi ha voglia di approfondire la conoscenza del proprio swing. Ovviamente bisogna affidarsi ad un professionista qualificato in grado di leggere tutte le informazioni prodotte dai due sistemi.

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Ott 09

Roberto Guarnieri aveva parlato qui di alimentazione e fitness. (Personalmente trovo semplicissima e geniale l’idea di alimentarsi con le mele durante una gara; e grazie al suo suggerimento l’ho sperimentata con soddisfazione.) Qui a seguire racconta oggi di una sua esperienza in qualità di caddie in una gara del Challenge Tour.

Quante volte ci è capitato, guardando la TV, di pensare magari con un pizzico di invidia quanto sarebbe bello fare il giocatore professionista, sia per il livello di gioco, assolutamente invidiabile, che per la vita che immaginiamo conducano.
Probabilmente dovremmo correggere il tiro e invidiare solo i primi cinquanta del ranking; per gli altri la vita non è poi così semplice come sembra.

Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di fare da caddie a un amico che gioca sul Challenge Tour; il giocatore cui faccio riferimento quando parlo di mele e programma di allenamento, per coloro che hanno letto il mio precedente post su fitness e alimentazione.
La cosa è nata per caso. Da tempo mi ero ripromesso di seguirlo da vicino in qualche open come spettatore ma a un certo punto è arrivata la proposta “perché non mi fai da caddie?”
Da caddieeee? Caddie è una parola grossa, io al massimo posso fare servizio di facchinaggio e portarti la sacca in giro per il campo! Lusingato accetto e liberatomi dagli impegni di lavoro eccomi sul volo che mi porta a Madrid. Arrivo la sera prima dell’inizio del torneo, ahimè senza poter fare un giro di prova. Ovviamente per ragioni logistiche trovo un alloggio vicino a quello del mio amico giocatore, una spartana residenza per universitari a prezzi ultramodici.
mappa 10
A cena mi spiega come leggere la mappa delle buche, niente a che vedere con quelle che alcuni circoli vendono a noi dilettanti. Questa è dettagliatissima, piena di numeri e distanze anche da appositi segni variopinti fatti sul fairway con della vernice spray. Inoltre va abbinata alla carta che indica la posizione esatta delle bandiere in green che ci verrà data giorno per giorno. Per ogni buca sono segnati a matita i bastoni usati nei due giri di prova e le relative distanze fatte. Trovo anche segnato nella prima pagina l’elenco dei ferri con annotata di fianco la distanza media. Infatti Madrid ė a circa 600 metri sul livello del mare e questo influenza il volo della palla e di conseguenza le distanze dei vari bastoni.
Domani sveglia all’alba, il tee time ė alle 8.20.

L’indomani arriviamo in campo pratica presto con una luce appena sufficiente che ci consente di vedere a malapena dove vanno a finire le palle. A proposito di palline anche qui come sul tour maggiore si pratica con le palle “vere”, e nel nostro caso si tratta di Titleist Pro V1. Mi si illuminano gli occhi solo al vedere quelle casse piene. Fa freddo, ė quasi buio e io ne approfitto per andare a scaldarmi in club house e fare colazione: lo so, non ė un gesto molto professionale per un caddie ma io dopotutto sono alle prime armi, chiedo il permesso per congedarmi e vado. Al ritorno vado a bagnare lo straccio che mi servirà in seguito, e nel frattempo ne approfitto per pulire i bastoni usati per il riscaldamento e le palline che man mano gli passo mentre tira gli ultimi colpi con il driver. Lasciamo il campo pratica e andiamo sul putting green dove rimaniamo per un tempo equivalente a poco meno della metà di quello utilizzato per praticare il gioco lungo.
pin position
E finalmente è giunto il momento, si comincia. Probabilmente sono più emozionato io che loro. Con il flight precedente impegnato nel tee shot ci dirigiamo sul tee di partenza. Lì di fianco trovo la tenda dello starter dove mi consegnano la pettorina che i caddie devono indossare; la indosso, recupero un paio di bottiglie d’acqua dal frigorifero e un paio di banane messe a disposizione per i giocatori e mi metto a lato del tee pronto a fare il mio lavoro.
buca 10
Iniziamo dalla 10, un par 4 di 396 metri che oggi con l’asta lunga gioca qualcosina di più. Legno 3 per evitare una fila di bunker e ferro 6 in green ad altezza asta, due putt e usciamo con un par sfiorando il birdie. La strategia comune a tutti ė quella di tenersi lontano dagli ostacoli anche a costo di sacrificare la distanza, lesson learned.
Se mai potessi avere avuto un dubbio ora ne ho la certezza: “questi” giocano un altro gioco!

Una cosa, oltre al gioco, mi colpisce fin dalle prime buche: la velocità con la quale si cammina sia fra un colpo e l’altro che durante i trasferimenti fra una buca e l’altra. In confronto noi guerrieri del weekend sembriamo un’allegra famigliola intenta a gustarsi il gelato mentre passeggia serenamente sul lungomare.

Dopo alcune buche prendo il ritmo – all’inizio ero costantemente in ritardo –, e apprendo le prime regole non scritte dei caddie. Ad esempio la bandiera la toglie il caddie del giocatore che gioca da più lontano, e poi ce la passiamo finché rimane in mano al caddie dell’ultimo giocatore che imbuca. A lui sta il compito di rimetterla a posto, e ovviamente gli altri non ti stanno ad aspettare: sono già partiti. Altra regola non scritta che ho ingenuamente disatteso sono i pantaloni corti. A dire il vero non me lo ha fatto notare nessuno, me ne sono accorto da solo dopo un po’ osservando i miei “colleghi” che avevano tutti rigorosamente la stessa tenuta indipendentemente dalla temperatura. Vabbé, vuol dire che la prossima volta so qual è la prima cosa da mettere in valigia.

Durante il giro usiamo una palla nuova ogni quattro buche, e tutte le volte che arriviamo in green il mio compito oltre a passare il putter è quello di prendere in consegna la palla e usare lo straccio per lavarla e poi asciugarla per riconsegnarla perfettamente pulita. Per quel che riguarda l’alimentazione confermo quanto scritto nel precedente post: una mela ogni 4 o 5 buche e poco meno di un paio di litri d’acqua.

Durante i quattro giorni si alternano vari compagni di squadra, giocatori con diverse qualità e caratteristiche di gioco. Da ognuno ho avuto la possibilità di imparare qualcosa anche solo guardandoli. Per esempio da Jesus, un giovane spagnolo dotato di un incredibile gioco corto: quando era attorno al green riusciva a mettere la palla in asta da qualsiasi posizione, con la palla che volava così lenta che si sarebbe quasi potuto leggere la marca mentre era in volo. O da un veterano del tour come Philip Archer dal carattere un po’ ruvido: a vederlo giocare sembra che il tempo per lui non sia passato. A quarantasette anni gioca ancora lo stesso golf dei suoi compagni con vent’anni di meno.
Un episodio su tutti mi ha meravigliato: in un par 3 col vento contro ho sorpreso uno dei giocatori a sbirciare nella “mia” sacca per vedere che ferro avevo tirato fuori visto che stava a noi tirare per primi: sorridendo ho pensato che tutto il mondo è paese.
FAH
Passando di fianco al putting green alla fine di un giro riconosco un giocatore ed incredulo chiedo conferma al mio giocatore: “Ma è lui?” Lui mi fa un cenno di conferma. Era Fredrik Andersson Hed, vincitore dell’Open d’Italia nel 2010 a Torino, che ora stava giocando una gara del Challenge. Dura la vita del golfista professionista.

Il quarto giorno ad un certo punto da una buca vicina sento provenire urla e applausi, probabilmente ė successo qualcosa; poi verrò a sapere che si trattava di un double eagle alla buca 4, un par 5 di 533 metri. Noi la 4 l’abbiamo giocata una mezz’oretta prima e in effetti c’era un po di vento dietro, avevamo valutato un ferro di meno. L’ace lo ha messo a segno tirando drive e ferro 5 direttamente in buca Nacho Elvira che poi vincerà il torneo con -21, che dire… un marziano!

Ė domenica primo pomeriggio, conclusa la 72esima buca restituisco la pettorina, vado a caricare sacca e bagagli in macchina, il volo che ci riporta a casa parte fra poche ore. Arrivati in aeroporto mentre scarichiamo i bagagli al mio amico arriva un sms, mi guarda e mi dice: ė del PGA Tour, mi hanno comunicato la vincita… 470 €. Lo guardo e mentalmente faccio un rapido calcolo: albergo, macchina a noleggio, biglietto aereo andata e ritorno per Madrid e ristoranti vari durante la settimana. Mi sa che se ė andata bene ė andato pari, la cosa mi fa pensare a quei ragazzi che ho conosciuto questa settimana in club house che non hanno passato il taglio e che sono rimasti lì ad allenarsi. Quando avevo loro chiesto meravigliandomi perché non rientrate a casa venerdì mi avevano risposto che ormai l’albergo era pagato e il biglietto aereo non lo potevano spostare: quindi tanto valeva rimanere lì a praticare che sia campo pratica che palle erano migliori rispetto a quello che avrebbero avuto a disposizione a casa.

Una cosa è certa: dopo questa fantastica esperienza quando guarderò il golf in TV continuerò ad invidiare i giocatori per il loro livello di gioco ma non certo per la vita che fanno.

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Mag 22

Roberto Guarnieri
Ho scambiato qualche mail con un lettore occasionale di questo blog, Roberto Guarnieri, tramite le quali ho capito che ha parecchie conoscenze sia nel campo dell’alimentazione durante la gara che della preparazione atletica per il golfista. Dal momento che vedo questo blog come uno strumento per condividere conoscenze e opinioni, non mi sono lasciato sfuggire l’occasione e gli ho chiesto di scrivere un post su questi argomenti. Detto fatto, il post è qui a seguire – con un caloroso grazie al nuovo amico Roberto.

Viene un momento nella nostra vita golfistica in cui non si riesce a capire come mai in quel par 3 dove prima bastava il ferro sette ora con lo stesso ferro sono più le volte in cui non ci si arriva che quelle in cui mettiamo la palla in green. Molto probabilmente il problema ė da ricercare nella nostra carta d’identità: è la nostra data di nascita. Con l’invecchiamento il nostro fisico perde in elasticità e i muscoli diventano meno potenti. Ci riesce difficile ammetterlo ma purtroppo è così; a parte che per Fred Couples, il mio idolo di sempre, che sembra avere uno swing che non invecchia mai. È stato un piacere le scorse edizioni vederlo competere al Masters per i primi 3 giorni contro gli young guns e poi mollare per i soliti problemi di schiena che lo hanno afflitto per tutta la carriera, con lo stesso swing del 1992 – anno in cui il Masters lo vinse.
Fred Couples
Beh, a parte i problemi di schiena che ci possono avvicinare a “Freddy”, purtroppo per noi comuni mortali non funziona così. Un piccolo riscontro mi viene da una chiacchierata fatta qualche tempo fa con l’amico Baldovino Dassù, il quale mi confessava che da qualche anno a questa parte perde in velocità di swing quasi un miglio l’anno. (Giusto per dovere di cronaca occorre comunque ricordare che il “vecchietto” si ė permesso di ritoccare in una pro am lo scorso anno il record del campo del Golf Club Bologna.)

Quindi comunque sia anche i ricchi piangono. E noi? Noi per limitare questo decadimento o per i più giovani per migliorare le performance sul campo abbiamo a disposizione alcuni strumenti. L’argomento ė vasto, perciò mi limito a suggerire ciò che faccio io sperando di dare qualche spunto.

Innanzitutto non trascurate la tecnica: il vostro swing ė in continua evoluzione, quindi scegliete un maestro del quale vi fidate e di tanto in tanto fate un check-up.

Per quanto riguarda alimentazione e fitness, si tratta di due ambiti che fino a qualche tempo fa non pensavo potessero tornare utili al mio gioco. Ma andiamo per ordine.

Alimentazione: durante le 18 buche stiamo a spasso per circa cinque ore, magari sotto il sole. L’idratazione ė importante: io personalmente cerco di bere ancora prima che mi venga sete, come regola quando fa caldo bevo almeno due litri d’acqua a giro (due bottiglie da mezzo litro nelle prime nove e due nelle seconde).

Cerco di non avere cali glicemici assumendo cibi facilmente assimilabili e leggeri che abbiano un effetto immediato. I modi sono svariati, dalla frutta alle barrette energetiche. Un amico professionista in gara mangia una mela ogni quattro o cinque buche; io ci ho provato ma lo trovo scomodo. Ho ripiegato sulle barrette energetiche (nei supermercati se ne trovano di tutti i tipi). A queste aggiungo una banana e della frutta secca. Tutto ciò serve ad arrivare alla fine del giro ancora lucidi.

Fitness: miglioriamo la tenuta fisica per non arrivare “morti” alla 18 ma anche per eseguire meglio lo swing andando a lavorare sui muscoli che servono. A tale scopo ci sono miriadi di esercizi, io cerco di utilizzare il meno possibile macchine a favore di esercizi a corpo libero di tipo pliometrico o cinestetico (con Bosu, swiss ball e palla medica) che servono a migliorare la forza esplosiva.
elastici
Il tempo da dedicare alla forma fisica dipende dalle nostre possibilità; personalmente faccio circa tre sedute in palestra alla settimana. Per chi non riesce ad andare in palestra oltre l’utilizzo degli esercizi a corpo libero consiglio gli elastici (io uso questi e questi), peraltro comodi anche da portarsi dietro quando si viaggia.

Sul web ormai troviamo programmi di allenamento di molti campioni, non ultimo quello di Rory McIlroy; ma cerchiamo di stare con i piedi per terra. Sono cose bellissime per chi le fa a tempo pieno, un po’ meno per chi ha un altro lavoro. Lo scorso autunno ho avuto la possibilità di dare un occhiata al programma di allenamento di un pro: era diviso in tre parti (massa, potenziamento e velocità) e per seguire quanto richiesto servivano un’ora e mezza o due, fatte quasi tutti i giorni della settimana.

Concludendo cerchiamo di fare degli esercizi per noi che amiamo questo sport ma lo giochiamo la domenica anche se nel migliore dei modi, facciamoci fare una scheda da un preparatore e ogni tanto la aggiorniamo. Una nota dolente: essendo il golf uno sport non molto popolare in Italia, i preparatori sono difficili da trovare.

Set 26

referee
In questi giorni in cui va in scena la Ryder, decisamente l’appuntamento più significativo della stagione, sono lieto di offrire ai miei venticinque lettori un altro pezzo di Isabella Data (i precedenti interventi qui, qui, qui e qui).

Isabella quest’anno è stata arbitro-ombra nel terzo giorno dell’Open d’Italia. (Un arbitro-ombra è un arbitro di primo livello, assolutamente non operativo, ospite per un giorno di gara di un arbitro effettivo dell’European Tour. Dal punto di vista arbitrale, non può avere alcun contatto diretto con i giocatori, ma assiste – in silenzio discreto e attivo – a ogni fase di lavoro dell’arbitro titolare.) Eccone a seguire il suo appassionante racconto.

Terzo giorno di Open. Sono le 6, è ancora buio, ma la cornice verde del Circolo Torino già brulica come un alveare. Volontari, giardinieri, manutentori, addetti di qui, addetti di là, la macchina riparte. Negli uffici dell’European Tour le luci sono già accese, Mr. Robson (il Fine Dicitore: “On the thee, from Italy, Francesco Molinari!”) è già lì, pronto e impeccabile nella sua giacca verderolex. C’è già un via vai di gente che prende carte, borse, quello che serve e se ne va, con i gesti precisi di un’organizzazione precisa come un orologio.

Il mio trainer oggi è un arbitro dell’European Tour: seduta accanto a lui, sulla per me mitica macchinina blu su cui campeggia la scritta Rules, ci sarò anch’io, seppure in veste di arbitro-ombra.

Mats, questo è il suo nome (“It’s a legend of Swedish golf” – così me lo presenterà Zamora, il Tournament Director dell’Open), è incaricato del set up del campo per le prime nove buche. Occorre disporre correttamente gli indicatori di partenza, poi controllare il percorso in ogni dettaglio: i bunker devono essere perfetti, la posizione delle bandiere deve corrispondere alle indicazioni di pin position che saranno consegnate ai giocatori. Ancora, occhio alle marcature sul campo: i riferimenti in centro fairway, riportati sullo stroke saver che guida ogni giocatore, devono essere stati riverniciati dopo il taglio, così pure devono essere visibili le marcature degli ostacoli d’acqua laterali, frontali, delle condizioni anormali del terreno. Dove c’è una drop zone occorre riposizionare il cartello di segnalazione spostato dai giardinieri per il taglio. Normale amministrazione, come per ogni gara di golf. Solo che qui, anche alle 6 di mattina, ti senti già puntati addosso l’occhio della telecamera, i flash dei fotografi, gli occhi di migliaia di spettatori, esperti, appassionati. Non c’è che dire, l’Open è una vetrina. Mats ha l’abitudine a tutto ciò, è un arbitro stabile dell’European Tour, macina migliaia di chilometri ogni anno per arbitrare gare in tutto il mondo, in un continuo dove ogni gara è una vetrina. È coscienzioso e accurato come se ogni gara fosse la Gara.

Finito il set up, incomincia la rumba. Mats, sempre collegato via radio con il board dei Rules Official, prende posizione nella parte di campo assegnata per oggi. Siamo pronti a intervenire a ogni chiamata dei giocatori, per rulings, chiarimenti, informazioni. D’interventi ce ne sono, ci chiama anche Manny, per un’entrata in ostacolo d’acqua. Seguendo il time sheet (la tabella degli orari, buca per buca), si controlla l’andamento della gara, il passaggio regolare, o meno, di ogni gruppo di giocatori. Se c’è un ritardo, va monitorato; se il ritardo è rilevante, l’arbitro fa una prima segnalazione ai giocatori. Si spera che basti, e così avviene. Il controllo sul campo è continuo, un monitoraggio in costante movimento, non appariscente ma presente.

Dietro alle corde, vedi una prospettiva diversa della gara, percepisci la solitudine e la concentrazione dei giocatori. Quando sei nella folla, sei la folla, inconsapevolmente fai parte degli oooh, ahhh e battimani che liberano la tensione. In mezzo alla folla, tu sei la folla, un sentimento unico di speranza, passione, delusione ed esaltazione. Dietro le corde, è tutta un’altra cosa. Cambia la prospettiva. Non è solo che puoi vedere uno swing più da vicino, o che puoi strappare una vicinanza speciale a uno di questi superalieni (per noi carrellanti – se il Direttore lo permette). No, non è questo. È che sei fuori dalla folla e sei dietro le quinte. Vedi l’organizzazione, il lavoro, anche umile e pesante di tutte le persone che hanno contribuito a quello speciale magico spettacolo che è l’Open. Pardon, l’Italian Open, il nostro Open. Bianco, rosso, verde.

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Dic 21


Isabella Data è un ospite ormai regolare – e sempre gradita – di questo blog (altri suoi interventi qui, qui, e qui). Oggi condivido volentieri un suo pezzo che è insieme descrizione del golf invernale e augurio per i venticinque lettori di Campo pratica.

Enter Isabella.

Lo swing per ora è un po’ congelato e, per qualche giorno, un po’ in sospeso: ha nevicato un poco, mica tanto, una decina di centimetri, in fondo il tempo è stato comprensivo.
All’inizio la cosa sembrava più grave e quando venerdì pomeriggio, oramai all’imbrunire, ho riposto la sacca al circolo, pensavo con tristezza ai giorni (quanti? una ventina?) in cui non si sarebbe potuto giocare. Invece delle fosche previsioni di mezzo metro di neve e di temperature glaciali, c’è stata solo la mezza messa. Con il prossimo week end, qualcosa si potrà fare.

Certo che l’inverno è un gran magone per noi golfisti. La neve? E che dire del fango che c’era prima della neve… ma come si fa a stare lontani? Un bel paio di ghette (perfette quelle che usavo quando ero scialpinista) e si va. Con il fango è tutto un altro gioco? Forse, anche se ho visto che per i giocatori bravi i colpi buoni ci sono sempre. Vuoi mettere però l’incanto di una boccata di aria fredda che ti schiarisce la gola, lo struggimento di un bellissimo tramonto invernale goduto in mezzo al campo anche se il morso del freddo ti blocca le mani, vuoi considerare la benedizione della pallina sempre lercia di fango che ti giustifica ogni flappa?
Il golf, in questa stagione, offre a poco prezzo opportunità che anche altri sport ti danno, però in forma più dispendiosa in termini di denaro, tempo, fatica, spostamenti.

Winter pragmatism!
Ci vuole positività, anche con questo tempo, anche con questa dannata stagione. Oggi per esempio, ho fatto un po’ di putt sul mio putting green personale (quelle classiche strisce di moquette verde con finta buca che ti vendono nei proshop).
Il mio modesto allenamento consiste in cicli di cinque palline da imbucare di fila da tre diverse distanze: tutta la striscia (putt lungo), mezza striscia (medio), distanza data (i putt che, sotto pressione, non infili e ti mangi le mani!). Quattro palline bianche e una rosa: così è facile tenere il conto delle sequenze.
Ma c’è qualcuno, tra gli amici di Gianni e di questo blog, che saprebbe suggerire un allenamento più tecnico? Magari mentale? Alessandra, sono sicura, imposterebbe un lavoro mentale con qualche piccola autosfida, tipo “scommetto che la prossima va dentro”, oppure “oggi devo raggiungere venti imbucate di fila”.
Sono certa che, lavorandoci su mentalmente, migliorerò! Saranno sciocchezze, però forse servono.

In sintesi, un caro saluto e tanti auguri, estesi a tutti. Buon Natale e Buon Anno Nuovo!

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Apr 06


Tra le pagine di questo pregevole, interessante e utile blog che trattano di tecnica, di pratica, di campioni, di regole e umanità golfistica varia, c’è posto per una bellissima storia d’amore, molto romantica? Io penso di sì. Perché è una storia proprio dei nostri giorni, ancora più bella, a mio avviso, giacché oggi si dice che non vi sia più spazio per sentimenti solidi e profondi.

La storia riguarda due giovani, nati e cresciuti esattamente agli antipodi: lui, emiliano, lei australiana. Certo, il mondo sarà pieno di storie così: a cercare bene, quasi tutti ne hanno una da raccontare. Questa però è così bella che le riassume tutte: è nata in un circolo di golf e… “galeotto fu il Ladies European Tour”.

Nel novembre 2006 si tiene al Golf Club Le Fonti di Castel San Pietro Terme, 30 km circa da Bologna, una Qualifying school del LET. Il Circolo ospiterà l’avvenimento anche nell’anno successivo, ma questa è la prima volta che al “Le Fonti” si gioca un torneo di tale importanza. Tutti i soci sono allertati, molti s’impegnano direttamente nei vari compiti organizzativi necessari. Il Circolo, poi, si fa in quattro per ospitare il torneo: non solo in maniera irreprensibile dal punto di vista tecnico, ma anche con tanto calore dal punto di vista umano. Sarà per via della cultura emiliana, generosa negli affetti, nelle relazioni interpersonali. Arrivano frotte di belle e sportivissime ragazze: per loro è in gioco una posta alta, la carta per giocare nel LET, la carta per dare avvio a una carriera sportiva, la carta della vita.

Tra queste giovani c’è anche Marousa: di famiglia greca ormai australiana, abita a Sidney ed è una delle 12 più belle ragazze del campionato australiano, tanto da avere una pagina nel calendario promozionale delle proette australiane. E a chi capita di andarla a prendere all’aeroporto di Bologna? A Luca, da pochi mesi impegnato nella segreteria del Circolo. Luca parla benissimo l’inglese, magari incespica un po’ nei primi approcci, perché è rimasto subito colpito dalla ragazza. Il colpo di fulmine scoppia in una delle serate organizzate dal circolo durante la settimana di gara del LET per far conoscere un po’ questo bell’angolo dell’Emilia Romagna.

Che volete? Che duri, una storia così? Sì, dura proprio! Sono passati sei anni. Nel frattempo, Luca e Marousa si sono fidanzati, sono entrati nella top list dei frequent flyers, hanno fatto più volte il giro del mondo, infine si sono sposati.

Tutto lì? Ma non è bello pensare a due giovani che sfidano culture e mondi così lontani e diversi? che accettano la sfida che il destino ha messo a portata delle loro mani, una sfida non semplice e non facile. È vero che quando si è giovani tutto si appiana, c’è entusiasmo e gusto della sfida. Bravi! Per noi del Circolo, oltre al sapore dolce di questa bella storia, c’è, in più, il fatto che tutto ciò ha avuto come cornice il mondo del golf. Un circolo, un club, finisce per essere parte di te, una famiglia; questo sport unisce, crea vincoli e affetti. Che il destino abbia voluto scodellarci questo bell’esempio di amore, proprio sui nostri green, è una cosa che ha toccato tutti. Marousa e Luca sono diventati i nostri ragazzi e ora, che vivono la loro vita in Australia, lo sono ancora di più. Tanti auguri per sempre!

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Mar 02


Isabella Data, che esattamente tre mesi fa aveva pubblicato qui il suo grazioso Decalogo del campo pratica, ha scritto ora un altro pezzo che reputo interessante e che pubblico volentieri. Parla di regole, la cui conoscenza – è importante che sia chiaro – è un aiuto e non un deterrente per il giocatore. Da qui si possono scaricare le Regole del Golf 2012-2015 (e, mentre si è lì, si potrebbe dare un occhio anche alle Decisioni sulle Regole del Golf 2012-2013 e alla Normativa tecnica).

La parola a Isabella.

Quando ho iniziato a giocare a golf e sono venuta in contatto con le “regole”, il mio spirito libero le ha subito classificate come una raccolta di “tigne” (regole complicate e passabilmente astruse) sedimentata da almeno 200 anni. Poi ho scoperto il fascino etico, non solo tecnico di questo gioco; sono cresciuti, man mano, dentro di me l’apprezzamento e il rispetto per un gioco dove, sostanzialmente, si è arbitri di se stessi.

Giocando ho compreso che la bellezza del golf, il fatto che appassioni ogni giorno sempre di più, nasce dal fatto che è “un gioco che non si può vincere, si può solo giocare”: non annoia mai, giacché presenta sempre nuove e svariatissime situazioni di gioco, su cui influiscono morfologia dei campi, situazioni ambientali, vantaggi assegnati ai giocatori (i cosiddetti “handicap”), materiali a disposizione, tipi di competizione.

L’importanza del conoscere le regole per un giocatore di golf è massima: si tratta probabilmente dell’unico sport in cui ognuno è arbitro di se stesso, e quindi onestà e rispetto devono far parte del bagaglio di ogni golfista. Barare non ha nessun senso, anche perché si finisce non solo per ingannare se stessi, ma per togliere a se stessi l’essenza pura del vero divertimento.

In questo tempo così malinconico, teniamoci stretti lo spirit of the game e le regole.

Ultima riflessione: se un “servitore” dello Stato, un Consigliere di Stato, non coglie la gravità di azioni così disoneste come quella di farsi pagare ripetutamente le vacanze, allora valorizziamo di più un gioco che insegna ad adulti e a ragazzi ad apprezzare valori come onestà e correttezza. Un gioco, più serio della vita vera.

Dic 02

Isabella Data è una golfista che si è chiesta come si potrebbe migliorare quel luogo ameno che è il campo pratica. Dice:

Nella mia decennale esperienza di golfista ho avuto modo di elaborare un “decalogo” per trasformare il campo pratica da purgatorio (quale spesso si presenta) a paradiso del golfista praticante. Sì, perché, nonostante il campo pratica sia una fonte di entrate assai interessante sotto diversi aspetti, mi è parso sovente che i circoli non facciano poi tutta questa gran gara per attirarvi assidui frequentatori.

Nei mesi scorsi Il Mondo del Golf lo ha pubblicato a puntate. A me è piaciuto parecchio, mi sono sembrati tutti ottimi spunti di riflessione per i circoli. Allora le ho chiesto il permesso di inserirlo in questo blog: lei ha acconsentito di buon grado. Ora il decalogo è scaricabile qui.

Chi lo leggerà troverà le riflessioni pacate di Isabella, cui spetta anche l’ultimo commento:

Voglio sottolineare come la situazione attuale non sia assolutamente negativa. È anzi doveroso, da parte mia, segnalare come già oggi ci sia molto impegno per rendere i campi pratica sempre agibili, in tutte le stagioni e in fasce di orario già molto ampie. C’è qualità di servizio, ci sono i luminosi esempi di abnegazione a raccogliere palline in mezzo al fango e alla neve per far giocare gli irriducibili appena si può.
Grazie quindi a tutti i presidenti, a tutte le segreterie e a tutti i “Mohamed”, “Maurizio”, “Ikbal” che già oggi ci permettono di stare in un bel purgatorio. Sarà veramente bello se qualcuno troverà buona qualche mia idea, la metterà in pratica – magari migliorandola ancora, visto che a me manca di sicuro l’esperienza gestionale – e se, così facendo, qualche praticante in più si sentirà in paradiso e migliorerà con soddisfazione il suo gioco.
Il più bello del mondo.

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