Ho conosciuto in questi giorni per caso Antonio Burzio, professionista di golf che ha iniziato “alla vecchia maniera”, come dice lui, ovvero facendo il caddie d’estate. Ne ho approfittato per porgli qualche domanda sul golf. Ecco qui la nostra chiacchierata.
Gianni: Puoi raccontare come ti sei avvicinato al golf?
Antonio: Il golf l’ho conosciuto nel modo più classico, ormai in disuso, come caddie. Da ragazzino a Cervinia in estate facevo il caddie come tanti altri miei amici e poi da qualche swing rubato qua e la, magari mentre si aspettava, ho avuto la possibilità di iniziare a giocare e non ho più smesso.
G: Com’è nata e come si è sviluppata l’idea di diventare pro?
A: Il golf l’ho iniziato a 12 anni e però l’ho preso subito molto seriamente, ricordo solo che volevo giocare ad ogni momento e che una domenica di pioggia era un evento catastrofico per me, in quanto non ci sarebbe stata la gara, fosse stato per me avrei giocato con ogni tempo… Diciamo che decidere di diventare Pro è stata una naturale conseguenza di una passione, di una amore veramente forte che avevo e che sento tutt’ora per il golf, anche se purtroppo ora per i molteplici impegni, professionali e privati, gioco veramente poco.
G: Qual è stato il momento che consideri migliore della tua carriera golfistica?
A: Gli anni sotto la guida del mio Maestro-Amico Fulvio Picco. Con lui sono riuscito a togliermi belle soddisfazioni, niente di eclatante raffrontato alle gioie che ci danno i Molinari e Manassero, ma che comunque ricordo con orgoglio. In parallelo vorrei anche cosiderare le soddisfazioni che l’attività di maestro mi ha regalato in circa 13 anni di insegnamento: anche i sorrisi di allievi che sono riusciti ad ottenere un bel risultato sono motivo di soddisfazione.
G: E il punto più basso?
Quello che sentono tutti i golfisti a fine giro, quando va male. L’impressione di aver toccato il fondo e di aver giocato il peggior golf della propria carriera… ma poi il vero golfista è sempre comunque a caccia dietro la pallina.
G: Quali insegnamenti hai tratto dall’uno e dall’altro caso?
A: Dai ricordi positivi ho imparato che quasi tutto è possibile, dipende da noi stessi e dalla nostra convinzione ed impegno. Da quelli negativi che c’è sempre in agguato un altro giorno di golf pessimo, quindi mai lasciarsi affrangere, quello che può sembrare nero ed irrecuperabile a volte si risolve con una semplicità inaspettata.
G: Come vedi il golf italiano, sia professionistico che amatoriale?
A: Per il settore professionistico possiamo solo fare una cosa, goderci lo spettacolo dei nostri Molinari e Manassero augurandoci che altri li raggiungano. Io sono cresciuto seguendo le gesta di Rocca, emozioni intense, io ero incollato allo schermo quando imbucò il putt kilometrico dalla Valley of Sins a St. Andrews e ricordo anche le lacrime di commozione (mie e sue). Credo però che i tempi siano ora molto diversi e che giocare al livello dei nostri tre campioni sia un’impresa formidabile, li ammiro molto, non solo per il loro gioco, ma anche per la loro immagine bella, pulita e serena, sono dei modelli di sportivi che molti giovani farebbero bene a tenere in considerazione piuttosto che uno dei tanti calciatori pazzi e stravaganti (per non dire altro…).
Per il settore amatoriale vedo una situazione di stallo. Si fa molta promozione ma poi le barriere ci sono ancora e sono invalicabili. Purtroppo in Italia siamo abiutati a campi comunque molto belli e di conseguenza costosi, quindi non vedo chance che il golf possa essere più economico di quanto sia ora. La soluzione sarebbe solo quella di iniziare a costruire campi a basso profilo che consentano green-fees intorno ai 10-15 euro al massimo.