Giu 17

Adoro l’atmosfera silenziosa e concentrata dei tornei professionistici di golf! Venerdì scorso ero all’Open, ecco qualche impressione.

Se chiudo gli occhi il ricordo primo che ho dentro di me è sonoro: il suono delle palline scagliate con perizia e precisione a rompere il silenzio. Già, perché una palla presa nello sweet spot fa una bella differenza: il suono è pieno e definito, dà soddisfazione anche solo a sentirlo.

Non ho voluto seguire i grandi nomi perché mi pare scontato: ho scelto una terna – Joel Sjöholm, Mikko Korhonen e Mark Haastrup – di sconosciuti al grande pubblico, e li ho seguiti per le seconde nove.

Nessuno di loro ha passato il taglio, sia pure di poco. La cosa che più mi piaceva era che per la maggior parte delle buche sono stato l’unico spettatore.

Alla 15 Sjöholm spedisce il suo drive un chilometro sulla destra, di fatto sul tee della 4, tant’è che ha dovuto aspettare che si liberasse per poter fare il secondo colpo; e ricordo distintamente il caddie che correva verso la zona dove la palla era atterrata, sulle spalle la sacca da tremila chili, per evitare che qualche spettatore la prendesse con sé come souvenir. Ottimo recupero da 130 metri (non dobbiamo mai dimenticare che una delle differenze tra noi e loro è che loro possono mandare la palla in bosco, ma il par salta fuori praticamente sempre).

Alla 17 ancora Sjöholm sbaglia il putt per il par e scaglia arrabbiato la palla in rough.

Sul tee della 18 siamo quasi amici, anche se non ci siamo mai parlati. Il caddie di Haastrup
mi lancia la ProV1x del suo giocatore. Sorrido come un bambino felice.

Finito il loro giro mi siedo davanti al putting green. Entra Manassero con due palline e le mette giù. Sbaglia *8 putt di fila* da tre metri. E io penso che qualche speranza per noi c’è ancora.


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