Ott 07


Gabriele Heinrich, handicap (ancora per poco) +2 o giù di lì, giovane promessa del golf italiano, era a Sutri il mese scorso ed è stato tra i “felici pochi” di morantiana memoria. (Un altro pianeta, per me.) Non mi sono lasciato sfuggire l’occasione per fargli qualche domanda.

Hai passato la preselezione alle Querce. Questo cambia qualcosa per te?
La preselezione alle Querce è stato il primo obbiettivo raggiunto tra quelli che mi sono prefissato. È stato molto importante per me passarla perché mi darà la possibilità in futuro di lavorare al fianco di grandi insegnanti e chissà, magari di crescere qualche futuro campione.

Che ricordi hai di quella settimana? Episodi, aneddoti, curiosità?
È stata una settimana piena di emozioni: la tensione del primo giorno (andato male, 79), la rimonta del secondo e del terzo in condizioni davvero difficili, e l’ultimo giro dove sapevo che se fossi stato attento (salvo impossibili rimonte degli avversari) sarei passato.

Che cosa rappresenta per te, il golf?
È un’ancora di salvezza da tutte le cose brutte che ci sono fuori: quando entro nel club mi sento in un universo parallelo che mi isola dai problemi che ho all’esterno.

Come ti sei avvicinato a questo sport?
Iniziai a 7 anni grazie a mio padre e mio zio che mi portarono a fare una passeggiata in un circolo di golf ad Asiago, dove conobbi il mio primo maestro, Antonello Ballarin, il quale mi insegnò i fondamentali del gioco. Poi, tornato a Venezia con la voglia che tutti i bambini hanno quando giocano a una cosa nuova, io, mio padre e mio zio ci iscrivemmo a Villa Condulmer dove incontrai Davide Villa, che mi fece prendere l’handicap e mi portò a buoni livelli di gioco; ma avevo bisogno di qualcuno che mi insegnasse una tecnica migliore e sapesse controllare il mio carattere molto forte. Mi affidai ad Enrico Trentin che a 11 anni mi prese sotto la sua ala e mi portò ad entrare in nazionale nel 2006 e ancora oggi mi segue e lavora con me sul mio swing, la strategia e mi dà fiducia.

Chi è il golfista cui ti ispiri maggiormente e perché?
Non ho un modello di golfista da imitare, penso che il golf sia uno sport individuale e ogni giocatore ha le sue caratteristiche tecniche, fisiche, e mentali; tuttavia tra i giocatori che mi piacciono molto ci sono Ernie Els, Louis Oosthuisen e Francesco Molinari.

Quali sono i tuoi programmi golfistici per la stagione 2012? E più a lungo termine come ti vedi? Farai il maestro?
Nel 2012 frequenterò la scuola nazionale di golf per diventare maestro e poi inizierò ad allenarmi duramente per prendere la carta del tour nei mesi successivi. Per ora insegnerò golf per mantenermi perché il mio progetto a lungo termine è quello di prendere la carta del tour e fare la carriera da giocatore di torneo.

Ti piace insegnare?
Insegnare mi piace, soprattutto ai bambini che si vogliono divertire e non vedono l’apprendimento come una cosa seria ma un gioco: ecco, a me piace inventare giochi nuovi per farli divertire.

Che cosa pensi dell’aspetto mentale nel golf?
L’aspetto mentale nel golf è il 50% del risultato finale, una buona preparazione mentale è la chiave di un buon golfista. Quando vediamo i giocatori del tour fare la routine prima del colpo non stanno solo guardando dove tirare la palla, ma stanno mettendo in pratica anni di allenamento fisico, tecnico e mentale per far sì che la palla vada esattamente dove vogliono: questa è la grande differenza tra un buon giocatore e un gran giocatore.


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