Oggi propongo ai miei venticinque lettori un altro interessante pezzo di Roberto Guarnieri (sul quale si veda qui e qui) alle prese con uno strumento di chiaro futuro per il golfista, il K-VEST. La parola a Roberto.
—
Era da un po’ di tempo che volevo trovare qualcosa che fugasse i dubbi – ricorrenti – sul mio swing.
Quando le cose vanno bene non ci preoccupiamo, anzi crediamo di essere pronti per giocare sul tour; ma appena incappiamo in qualche giro fatto male ricadiamo nel baratro e riemergono i soliti dubbi su tecnica, sequenza, elasticità, forma fisica eccetera. Anch’io sono così, e forse mi sono messo nei pasticci da solo: perché durante una stagione golfisticamente decorosa ho voluto migliorare il migliorabile senza aspettare il solito calo di performance.
Come? Ho scoperto che un circolo a pochi chilometri da casa utilizza il K-VEST del quale ho sentito spesso favoleggiare. Dopo un paio di telefonate per raccogliere informazioni e qualche chiacchierata fatta con i soliti fidati amici professionisti per sentire le loro opinioni il risultato era più o meno unanime: da prendere non come se fosse il vangelo, non ti servirà per giocare qualche colpo in meno ma per avere una miglior conoscenza del tuo swing – insomma me lo consigliavano tutti. Telefono e prendo appuntamento con Giovanni per una sessione di un’ora.
Prima di iniziare a parlare della “lezione” vera e propria è opportuno e interessante spendere due parole su cosa è e cosa fa il K-VEST. Sostanzialmente consiste in una serie di sensori che inviano segnali al computer; questi sensori vengono attaccati al corpo per mezzo di una cintura per la misurazione pelvica, un top da mettere sulle spalle per la misurazione del torso e un sensore da infilare sotto il guanto sul dorso della mano. I dati che se ne ricavano sono la velocità di rotazione espressa in gradi delle parti misurate e gli angoli del corpo partendo dallo stance per tutta la durata del movimento. Una vera montagna di informazioni.
La calibrazione del sistema richiede una decina di minuti circa, in piedi di fronte al sensore che riceve i dati collegato al computer. In pratica il tutto serve a far capire al computer dove mi trovo esattamente rispetto a lui, cioè a fare una specie di perimetro del mio corpo, identificando la mia sagoma e quindi dove sono collocati i sensori che mi sono stati applicati rispetto a questa sagoma e che poi si muoveranno.
Fatta questa calibrazione, sullo schermo appare la sagoma colorata del torso, delle gambe e delle mani che effettivamente inizia a muoversi in sincronia con me. Da notare che abbinate al K-VEST ci sono anche un paio di telecamere che registrano il mio swing, sia dalla front view che down the line.
Inizio a tirare qualche palla non tanto per scaldarmi (mi ero già scaldato prima), quanto per abituarmi a swingare con tutti quei sensori addosso. Confesso che mi ci sono voluti almeno una decina di swing prima di cominciare a sentirmi a mio agio e poter fare un paio di colpi che valessero la pena di essere analizzati: tanto che i primi tre colpi sono stati tre orrendi shank che mi hanno fatto pensare “ma che ci sono venuto a fare qui”. Guardo atterrito Giovanni che mi rassicura con un “tranquillo, succede a tutti”.
Acquisiti i dati di qualche colpo fatto in maniera decente passiamo all’analisi, oddio chissà che esce fuori, la macchina sarà impietosa… Ascolto con curiosità e interesse Giovanni che con pazienza mi sciorina l’analisi dettagliata di una dozzina e più di grafici i quali contengono i movimenti di bacino, tronco e mani. Il risultato finale è più o meno quello che i miei amici pro avevano previsto dicendomi che non potevo discostarmi più di tanto da un movimento dalla sequenza corretta.
In un’altra pagina vengono riportati i dati dei punti chiave del mio swing di fianco a quelli della finestra di riferimento, che non è altro che la media dai giocatori del PGA Tour. Il paragone lo fa subito il computer, se il dato è all’interno della finestra ė in verde e se invece è fuori appare in rosso. Giovanni mi tranquillizza facendomi notare che parecchi numeri “rossi” in effetti si discostano di qualche grado se non addirittura di uno solo. La percentuale di numeri verdi è di circa il 70%, e molti dei rossi sono fuori di poco.
Cosa fare? Lavorare come un matto per inseguire la chimera di avere tutti i numeri in verde oppure decidere che tutto sommato va bene così e focalizzare l’attenzione sul parametro che si discosta maggiormente? Il buon senso vuole che opti per la seconda soluzione: dall’analisi risulta che il mio Upper Body Turn all’impatto è di soli 8° mentre la finestra dei pro è 26° – 34°. Prima di andarmene Giovanni mi da un paio di drill sui quali avrò da lavorare per i prossimi mesi prima di ritornare per un’altra sessione con il K-VEST e verificare se il lavoro ha dato i risultati sperati.
Ora ho due serie di dati da incrociare che riguardano il mio gioco: quelle del K-VEST e quelle del Trackman fatto l’estate scorsa. Del Trackman posso dire che misura circa una ventina di dati, ma tutti riferiti dal momento dell’impatto in avanti sia della testa del bastone che della palla. In buona sostanza è ottimo per misurare il risultato finale dello swing (il famoso “moment of truth” – perfetto per il fitting dei bastoni), mentre il K-VEST non dice niente di quest’ultimo ma dice tutto o quasi su quel che succede prima e dopo.
A mio parere l’abbinamento di queste due apparecchiature è eccezionale per chi ha voglia di approfondire la conoscenza del proprio swing. Ovviamente bisogna affidarsi ad un professionista qualificato in grado di leggere tutte le informazioni prodotte dai due sistemi.
Roberto Guarnieri, Il K-VEST https://t.co/ztdu8zN8av https://t.co/94MejjgScQ