A volte penso alle brutte gare che ho fatto: domenica al mio circolo, per dire, ne ho tirati 89 – di cui 49 nelle seconde, con un quadruplo alla 18. Non è stato piacevole.
A volte penso ai miei anni: 43 non sono pochi, per qualcuno che vuole diventare professionista e si dovrà confrontare con colleghi che potrebbero essere suoi figli e che probabilmente hanno cominciato a giocare a golf all’età della sua figlia più piccola (che è alla scuola materna).
A volte penso che nessuno mi ha obbligato o mi obbliga a incaponirmi su questo percorso, al fatto che quando sarò professionista mi mancheranno le gare di circolo eccetera.
A volte penso anche che chiacchiero troppo, mentre non servono (tante) parole per far vedere che sei un professionista; e che alla fine nel golf you are your numbers.
Ma questi pensieri, lo confesso, mi durano poco. Così come vengono, altrettanto leggermente se ne vanno. Io voglio diventare pro, voglio continuare ad apprendere i segreti di questo sport e poi trasmetterli a chi avrà la pazienza di starmi ad ascoltare.
(Tenendo presente quel che dice Rudy Duran, primo maestro di Tiger, sull’ultimo “Golf Digest”:
Tiger showed me that golf is learned, it isn’t really taught. I just tried to provide a setting in which he could discover.)
Nella prossima vita devo ricordarmi di prendere un bastone in mano a tre anni. Per questa va bene così.
Tutto è relativo: 89 per te è un brutto gioco, per me sarebbe un SOGNO…
Quando gioco sotto 100 faccio i salti di gioia…