Mi scrive Renato, un lettore di questo blog:
ho 46 anni e ad aprile 2011 ho preso l’handicap. Per essere arrivato dove sei con l’handicap quanto e come ti alleni? Perché vorrei anche io arrivare dove sei tu.
In attesa di un tuo prezioso consiglio…
La mia esperienza è certamente d’aiuto a coloro che, come Renato – e sono molti più di quanti possiamo immaginare – desiderano davvero migliorare il proprio gioco. Ecco dunque la mia “ricetta”, che non ha pretese di esaustività ma vale come percorso abbastanza tipico, avendo io cominciato a giocare a golf da adulto. La prima volta che ho preso in mano un bastone era infatti il 7 febbraio 2004 (il primo giorno di apertura del mio circolo – ero tendenzialmente monomaniaco già allora, mi sa…): avevo 36 anni e mezzo.
Ci sono state delle circostanze casuali che mi hanno fatto amare la pratica. Ne segnalo un paio:
- mi scocciava (o, più esattamente, mi vergognavo) farmi vedere in campo a tirare colpi di qua e di là (quello che gli americani chiamano army golf): è stato naturale allora passare più tempo in campo pratica che in campo;
- nello stesso tempo, un nove buche con 350 soci ha chiaramente tempi di percorrenza abbastanza elevati (2 – 2,5 ore anche girando da soli), il che vuol dire attese infinite ai tee di partenza: meglio allora tirare come dei forsennati in campo pratica, no? 🙂
C’è stata dunque una componente di casualità, ma il risultato è che il campo pratica è stato per me fin dall’inizio il ricettacolo naturale per l’esperienza golfistica.
E questo è il primo “segreto”: non esistono scorciatoie. Per diventare bravi occorre amare la pratica, praticare con disciplina e costanza. Il campo può essere più divertente, ma senza diecimila [sic] ripetizioni di un singolo movimento non lo si interiorizzerà, e il risultato dello swing sarà dunque sostanzialmente casuale.
Seconda componente: il mio handicap è sceso in maniera decisa l’anno in cui ho dedicato più tempo al gioco corto che non allo swing completo. Nel 2007 – il mio quarto anno di golf – sono sceso da 18,4 a 13,0 passando tanto tempo nell’area approcci. Non per niente si dice “drive for show, putt for dough”.
E qui arriviamo al terzo punto: il putt. Io “amo” il putt, amo la pratica del putt, e quando sono sul green tiro sempre per imbucare, da 10 centimetri come da 20 metri. Questo è un punto importante: troppi golfisti tirano il primo putt per lasciarsi un comodo tap in, il che si traduce troppo spesso in secondi putt da due o tre metri. Invece il concetto è proprio questo: tirare il putt – qualunque putt – per imbucarlo.
Corollario: in campo pratica è molto più importante allenarsi nei putt da uno, due e tre metri – quelli che fanno la differenza – che non in quelli da sei metri, dove non c’è pressione perché l’aspettativa non è di imbucarli ma semplicemente di avvicinarsi all’obiettivo.
Un paio di articoli che ho scritto sull’argomento putt si trova qui e qui.
Altro aspetto fondamentale: l’allenamento mentale. Contrariamente a quel che possiamo pensare, la mente si può allenare proprio come il corpo, e la psicologia sportiva è una disciplina scientifica che può aiutare molto, né c’entra nulla con lettini freudiani, paranoie di vario genere e così via. Il golf è essenzialmente uno sport mentale, quindi saper governare la propria mente nei momenti cruciali è fondamentale per un buon gioco. Io ho la fortuna di avere un maestro che lavora con uno psicologo sportivo, e ho trovato tantissimi benefici da questo. I miei due maestri, Andrea De Giorgio e Roberto Cadonati, hanno scritto un libro sull’argomento, che consiglio caldamente a chi è interessato a questi temi (qui un estratto).
E, per finire, ancora un paio di note.
La prima: la lettura e l’ascolto. Io adoro leggere e mi rendo conto che non per tutti sarà così, ma ho trovato beneficio dalle riviste, dai libri e dagli audiolibri.
La seconda: la forma fisica. Ho tratto un grossissimo giovamento da quando, poco più di un anno fa, ho cominciato a frequentare con regolarità la palestra (pilates e corsa soprattutto). Oggi, a 44 anni, mi sento in forma fisica splendida, molto più di vent’anni fa quando sarei stato in teoria al mio zenit (ma come dice Yogi Berra, in teoria la teoria e la pratica sono la stessa cosa, ma in pratica non è così). I miei muscoli invecchiano e non posso farci nulla, ma la resistenza, l’elasticità e il benessere che derivano dal tempo trascorso in palestra sono sensazioni meravigliose da provare.
Questi sono i miei ingredienti. Chi, tra coloro che sono ancora qui dopo questa tirata, vuole aggiungere i suoi sarà il benvenuto.
[…] Titolo e sottotitolo: Come migliorare il proprio gioco. Diventare il golfista migliore che tu possa diventare. Sarà grossomodo un’estensione di questo articolo. […]