Gen 11

Golf Digest gennaio 2013
Golf Digest è una rivista che adoro, cui sono abbonato da anni e che leggo in genere cover to cover. L’ultimo numero però (gennaio), è – in una parola – brutto.

Insapore è la copertina, una marchetta gigantesca della Audemars Piguet, dove si vedono quattro eroi della Ryder in una posa del tutto forzata e innaturale.

Poveri sono i contenuti: articoli come Virtual Golf (che parla dei giochi, o delle app come si dice ora) appaiono assolutamente inutili.

Fuorvianti sono alcuni articoli tecnici, come ad esempio Sand Play 2.0 di David Leadbetter (e viene da chiedersi: ma veramente quest’uomo ha ricostruito da zero lo swing di sir Nick Faldo quand’era all’apice della sua carriera?).

Qualcosa da salvare però c’è, anche in questo brutto numero: un case study sul Parkland Golf & Country Club (spunti interessanti per molti circoli italiani), un appassionato ricordo di Jim Flick a cura di Jack Nicklaus (He called me simply “Mr. Jack”) e un’intervista a tutto campo a Rocco Mediate, che ha da poco passato la boa dei cinquant’anni.

Giudizio sospeso per questo numero. E si va alla prossima.

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Dic 28

Dice Manassero, citato da Maria Pia Gennaro nell’editoriale dell’ultimo Golf Today:

Questo non è uno sport da vecchi, non è uno sport da ricchi e non è uno sport da pigri.

E Antonella Manuli, nella rubrica che cura per Golf & Turismo, nel numero di dicembre sostiene:

O ci convinciamo che i ragazzini vanno agganciati e appassionati molto precocemente, o la gerontocrazia, che è la cifra in questo paese, continuerà a essere la regola nel golf ancora per molti decenni…

Per me questo sport è l’attività ideale per tutti: perché c’è – ci può essere, almeno, ci dovrebbe essere – lo spazio per i più piccoli ma nello stesso tempo il settantenne può trascorrere giornate piacevolissime calcando i campi da golf. Ci sono precauzioni da prendere ma non controindicazioni, è il perfetto sport per chiunque.

Ma come lo si presenta al grande pubblico, come viene percepito, ecco, queste sono cose importanti, che possono fare la differenza. “È solo quella maledetta questione della percezione”, come dicevano gli ingegneri Fiat a fine anni Ottanta, straniti dal fatto che il pubblico non gradisse la Tipo.

Ecco, su questo bisogna insistere. E ciò significa giocoforza partire dai bambini e dai ragazzi, stimolarli senza forzarli, valorizzarli. (Al mio circolo ho visto passare ragazzi che sono diventati nazionali e professionisti, ma appena raggiunto un certo livello sono andati via.)

E perché alla cena di Natale rientravo a pieno nella categoria “giovani”, nonostante i miei quarantacinque anni?

Lo sviluppo di questo sport significa valorizzare l’aspetto sportivo e non solo quello ludico e sociale. C’è molto lavoro da fare, ma le prospettive sono ottime. L’immagine del golf va svecchiata. E possiamo dimenticare le ricadute sull’economia e sul lavoro?

When we come out of this cycle, and we will, the allure of our sport based on its values and ethos will still prove good for business. The best stimulus package is a robust golf economy, because nobody out-travels, outspends or out-contributes a golfer.

Questo scriveva Jerry Tarde, direttore di Golf Digest, nel maggio del 2009, e vale certamente ancor oggi. C’è da riflettere, c’è da lavorare. Si può fare.

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Nov 30

Dunque, iniziamo dai fatti.

Le principali novità per il prossimo anno a riguardo del golf italiano dilettantistico sono due: l’aumento del costo della tessera federale da 75 a 95 euro e la possibilità di eliminare la virgola per i giocatori con handicap superiore a 11,4 (juniores esclusi).

Costo della tessera federale

Sul primo punto si potrebbe anche essere d’accordo (sono tempi difficili per tutti), sebbene la comunicazione andrebbe curata meglio: il 17 ottobre infatti, un comunicato della Federgolf spiegava che:

Per quanto riguarda le quote di affiliazione, aggregazione e tesseramento 2013, sono state confermate quelle già in vigore quest’anno.

E tuttavia, qualche giorno dopo Franco Chimenti, presidente della nostra Federazione, invia una lettera ai presidenti di circolo (si può leggere qui), dove dice che, per via del fatto che il title sponsor del nostro open non ha rinnovato la sponsorizzazione per l’edizione 2013, ritiene

indispensabile chiedere ai nostri iscritti adulti un contributo straordinario di 20 euro a testa, espressamente destinato al finanziamento dell’Open, da versare insieme al tesseramento 2013.

Questa mossa può essere letta come quasi obbligata, quasi a dire che andava fatta per salvare il salvabile. Ma allo stesso tempo appare chiaro che l’ottica è di breve periodo: si dimenticano gli investimenti, si dimentica lo sviluppo del nostro sport e non si pone l’accento sui nuovi potenziali golfisti che l’Italia potrebbe avere. E lasciamo stare gli Stati Uniti o l’Inghilterra, ma se pensiamo ai 400mila golfisti francesi o ai 600mila tedeschi (vado a memoria, ma l’ordine di grandezza è quello), e aggiungiamo a questo le prodezze dei golfisti di casa nostra, non possiamo non concludere che il potenziale c’è, e come – non è facile percorrerla, d’accordo, ma la strada esiste.

Insomma 20 euro non sono nulla, e risolvono un problema per il 2013; ma cosa accadrà nel 2014? Nel 2015? Negli anni a venire?

Virgola

E veniamo alla virgola. Anche se il sistema non è ancora stato messo a punto nei dettagli, in pratica qualunque golfista maggiorenne con handicap superiore a 11,4 potrà, all’atto della riconsegna dello score, evitare di prendere la famigerata e odiata virgola semplicemente esprimendo la sua volontà (forse scrivendo NR sullo score: così sostiene Andrea Ronchi su “Golf & Turismo” di novembre).

Sempre il nostro presidente nella medesima lettera ha scritto:

A partire dal 2013, inoltre, verrà ripristinato il sistema in vigore prima dell’adozione dell’Handicap EGA, in base a cui i giocatori che in caso di risultato negativo non desiderano “prendere la virgola” potranno indicarlo sullo “score” prima della consegna.

Antonio Burzio, che è l’autore dell’articolo e colui che ha riportato la lettera per intero, così commenta:

Una volta che si concorda sul fatto che l’handicap sia il primo strumento per poter giocare alla pari con giocatori oggettivamente più forti/deboli di noi, va da se che tale handicap debba aggiornarsi in modo coerente con le capacità del golfista e non a suo giudizio.

Ciò mi pare chiaro e non contestabile. E, sia detto tangenzialmente, la variazione dell’handicap è sensata in entrambe le direzioni: tutti noi conosciamo almeno un “ladro di handicap” che tiene il suo handicap artificiosamente alto allo scopo di vincere louisiane, gare a coppie eccetera. In teoria i circoli hanno la facoltà di intervenire in casi del genere, abbassando d’ufficio l’handicap della persona, ma in pratica questo – per ovvi motivi – non accade.

Certo, bisogna tenere conto del fatto che le gare rappresentano un introito non secondario nel bilancio di un circolo, e che il numero di gare effettive di un golfista potrebbe essere inferiore rispetto ai desiderata sia per un motivo economico sia per la paura di prendere la virgola.

Quindi parrebbe la quadratura del cerchio. O no?

Qui va in realtà fatto un parallelo con la questione dei 20 euro aggiuntivi per la tessera: questa decisione risolve un problema attuale ma potenzialmente ne crea altri, più grandi, domani. Falsare le condizioni non è bello, ci aiuta oggi ma è un’arma a doppio taglio che domani si ritorcerà contro il golf italiano.

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Giu 22


Dicevo in questi giorni, scherzando (ma solo fino ad un certo punto), che sto facendo il passaggio da golfista a taxista.

(Forse il passaggio è aiutato dal fatto che in questo periodo la sto prendendo poco – insomma io ci sto mettendo del mio… -, ma tant’è.)

Taxista perché le mie figlie sono ormai entrate nello spirito e nell’aria del circolo. Ovviamente hanno le loro esigenze, e il golf è un’attività come un’altra. A loro piace e questo mi rende contento (sebbene non le abbia mai, nemmeno per un momento, spinte verso il golf). E vuol dire anche, chiaramente, tempo dedicato a loro, per esempio nel portarle al circolo.

È un bel percorso. Sono bei momenti. Si impara. Un tempo invidiavo i genitori che vedevo giocare a golf con i propri figli. Oggi anch’io sono uno di quei genitori, e sono felice.

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Mar 30


L’ultimo numero di “Golf & Turismo” contiene quattro pagine pubblicitarie Callaway il cui testo dà da pensare.

Ecco una parte di che cosa si legge nella prima delle quattro (ho normalizzato il testo che per ragioni pubblicitarie è tutto maiuscolo nell’originale):

Un drive di Álvaro Quirós percorre 310 iarde tra le Bellagio Fountains a Las Vegasa.

Questo testo è la traduzione della medesima pagina, che si vede ad esempio su “Golf Digest” di questo mese (il video è qui):

Álvaro Quirós and J.B. Holmes drive 310 yards across the Fountains of Bellagio in Las Vegas.

Ora io, da fornitore di un servizio del genere, mi rendo perfettamente conto che la traduzione è sovente una sorta di pensiero laterale dell’ultimo minuto, in casi come questo: l’agenzia pubblicitaria ha mille cose cui badare e fa il possibile. (Qui un ottimo articolo sul tema, scritto da uno dei guru dell’industria della traduzione.)

Tuttavia vedo un problema non da poco, perché una grande azienda investe parecchie migliaia di euro in promozione ma in qualche punto del processo c’è un anello debole che fa sì che non venga spesa qualche decina di euro (una percentuale infima del costo totale del progetto) per un testo tradotto come si deve.

Quindi l’ovvia conclusione è che le scorciatoie a volte diventano delle trappole o, per dirla con Einstein:

Everything should be made as simple as possible, but no simpler.

Feb 24


Il post d’oggi è quasi “chiamato”: inizia infatti oggi a Verona la sesta edizione del Salone italiano del golf, dove fino a lunedì cento espositori presenteranno prodotti e servizi legati al nostro sport.

In un momento in cui il golf è in crisi, in cui ci si chiede dove sta andando questo sport, come fare per attirare nuovi giocatori e – soprattutto – conservare quelli esistenti (ne parla ad esempio Antonio Burzio qui e qui), il fatto che si investa in comunicazione e promozione è significativo ed importante.

Le potenzialità che ha questo sport, in particolare in Italia, sono immense. Solo per guardare ai fatti di casa nostra: pensiamo allo sviluppo che regioni come la Calabria, la Puglia e la Sicilia potrebbero avere quando il golf fosse inserito in un programma organico di crescita, basato innanzitutto sul turismo. Ci sono in quelle terre ricchezze che il mondo intero ci invidia.

E non sono solo pie illusioni, visto che resort come il Donnafugata e il Verdura sono stati creati proprio con questo obiettivo in mente.

Ben vengano dunque manifestazioni come queste, che presentano certo bastoni e attrezzature a noi golfisti, che comunque compreremmo qualunque cosa legata alla nostra passione, ma soprattutto possono divenire una vetrina molto più ampia, di promozione di regioni intere anche attraverso il golf – un vero e proprio circolo virtuoso.

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Dic 16

Photo by http://www.flickr.com/people/billtam/


Il golf decembrino è molto particolare. Le gare sono terminate da tempo, le sacche in sala sacche cominciano a sparire – giorno per giorno le vedi calare, come una marea che refluisce –, l’atmosfera si fa più ovattata. Particolare.

Mi sovviene un racconto di John Updike, di cui ho riportato qui alcuni brani.

Per me personalmente vuol dire però anche altre cose interessanti: per esempio la possibilità di servirmi del campo come un campo pratica per provare colpi che mi danno ansia o mi mettono difficoltà, o anche per semplice soddisfazione.

L’altro ieri, per dire: per la serie ansia ho tirato 17 palline come secondo colpo alla 7 (un par 5 da noi), non riuscendo a prendere un singolo green (e anzi perdendo due ProV1 – le undici palle da lago naturalmente le ho ritrovate tutte, è la legge di Murphy applicata al secondo colpo del par 5). Poi mi sono assolto pensando che ero troppo lontano, data la stagione.

Per la serie soddisfazione ho provato due volte il secondo colpo alla 2, un par 4 corto (per me è un pitch da 105 metri in salita), e il suono all’impatto del ferro con la palla mi dava un senso pieno di appagamento. La prima volta ho tirato 6-7 palle, la seconda 11. (Gran lavoro di livellamento pitch mark dopo, naturalmente.)

E ieri dopo il pilates avevo solo mezz’oretta, in parte spesa sul green della 9 a provare un putt con doppia pendenza. Ed è vero che i green adesso non fanno testo, ma avevo in mente un principio fondamentale per un golfista, di cui parlerò ampiamente il prossimo anno: che la pratica sia il più difficile possibile, in maniera che il campo diventi il meno complicato possibile.

Nel giro di pochissimi giorni arriverà il freddo reale, e poi il circolo chiuderà. Ma il dottor Seuss direbbe:

Don’t cry because it’s over. Smile because it happened.

Golf decembrino.

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Nov 18


Lentamente. A fatica. Ma sta succedendo.

Da quest’anno il mio circolo pare aver puntato con decisione sui bambini, ragazzini e ragazzi. Lo si vede da segni piccoli, ma inequivocabili.

Per esempio, all’ultima premiazione (sabato scorso) uno scricciolino di sette anni ha vinto una sorta di coccodrillo copribastone come primo premio junior (e già il fatto che la categoria junior esista è un segno). E la sua felicità e il suo orgoglio nel ritirarlo, e nel mostrarlo il giorno dopo in campo pratica, erano tangibili. E contagiosi!

Molti pomeriggi di quest’anno sono stati segnati dal corso ragazzi. E un po’ di fastidio ai soci l’avranno dato, col loro vociare allegro e le movenze magari non compostissime, ma mi pare un prezzo basso da pagare in cambio di potenziali soci che arriveranno (e sono già arrivati).

E poi le scuole: quante classi hanno frequentato il circolo al mattino e si sono avvicinate, sia pure timidamente e tangenzialmente, al golf! Merito di professoresse e professori illuminati, della disponibilità del circolo, della politica della federazione.

Il golf in Italia sta cambiando (per fortuna). Da gioco elitario a sport per tanti (non per tutti, certo; ma per tanti), e le famiglie sono protagoniste in questo fenomeno, perché rappresentano comunque denaro che entra nelle casse dei circoli.

E poi, a ben vedere, un golfista in erba è un potenziale golfista per i settant’anni prossimi della sua vita, il notaio ottantenne ha – ahimè! – meno possibilità di contribuire alle finanze dei circoli.

Una nuova primavera, dunque. Degli altri circoli ignoro, ma ai Ciliegi son fioriti i bambini.

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Ago 19


Questo post non è scritto per i golfisti.

Non è scritto nemmeno per chi non è interessato al tema.

È pensato per tutti coloro – molti più di quanti possiamo immaginare – che si trovano in qualche parte tra l’uno e l’altro estremo, persone che magari sì, potrebbero essere interessate a provare questo gioco/sport ma i costi sono elevati, ma ci vuole tanto tempo, ma e se poi mi prende? e così via.

Bene, per costoro c’è un punto importante da chiarire.

Il golf può significare cose diverse per persone diverse. Uno degli aspetti magici di questo sport è proprio il fatto che può essere fruito a livelli molto diversi di abilità, età, impegno. È uno sport per tutte le età.

È un fatto che il golf non può – non potrà mai – essere uno sport economico, perché la manutenzione dei campi costa parecchio e perché richiede spazi ampi. Tuttavia si può iniziare a praticare con cifre relativamente contenute, nell’ordine dei 3-400 euro, il che permette di capire se è uno sport che può interessare e quindi poi, eventualmente, procedere con i passi successivi. Si può giocare a golf spendendo mille euro l’anno: certo il calcetto costa meno, ma non è una cifra impossibile.

Ma soprattutto vorrei che fosse chiaro che non vale l’identità (pericolosa, fuorviante e sbagliata) che il golf è uno sport d’elite, praticato da persone con la puzza sotto il naso, da nobili perdigiorno e così via. Questo è un tema che si ripropone più volentieri d’estate, quando è più facile associare per esempio la Sardegna ad un certo tipo di turismo e così via.

Naturalmente il golf è fatto anche di queste situazioni. Ma l’altro ieri, tanto per dire, al mio circolo c’era un ragazzino – dodici anni – che ha passato il pomeriggio da solo in campo pratica, tra swing e approcci e putt. Io ho trent’anni e passa più di lui e faccio la stessa cosa. Per me – e per tanti, tantissimi altri come me – questo è il golf: sportmanship, sfida con se stessi e con gli amici, percorso di tecnica e conoscenza – non aperitivi verso sera in luoghi esclusivi.

Che si sappia.

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Giu 17

Adoro l’atmosfera silenziosa e concentrata dei tornei professionistici di golf! Venerdì scorso ero all’Open, ecco qualche impressione.

Se chiudo gli occhi il ricordo primo che ho dentro di me è sonoro: il suono delle palline scagliate con perizia e precisione a rompere il silenzio. Già, perché una palla presa nello sweet spot fa una bella differenza: il suono è pieno e definito, dà soddisfazione anche solo a sentirlo.

Non ho voluto seguire i grandi nomi perché mi pare scontato: ho scelto una terna – Joel Sjöholm, Mikko Korhonen e Mark Haastrup – di sconosciuti al grande pubblico, e li ho seguiti per le seconde nove.

Nessuno di loro ha passato il taglio, sia pure di poco. La cosa che più mi piaceva era che per la maggior parte delle buche sono stato l’unico spettatore.

Alla 15 Sjöholm spedisce il suo drive un chilometro sulla destra, di fatto sul tee della 4, tant’è che ha dovuto aspettare che si liberasse per poter fare il secondo colpo; e ricordo distintamente il caddie che correva verso la zona dove la palla era atterrata, sulle spalle la sacca da tremila chili, per evitare che qualche spettatore la prendesse con sé come souvenir. Ottimo recupero da 130 metri (non dobbiamo mai dimenticare che una delle differenze tra noi e loro è che loro possono mandare la palla in bosco, ma il par salta fuori praticamente sempre).

Alla 17 ancora Sjöholm sbaglia il putt per il par e scaglia arrabbiato la palla in rough.

Sul tee della 18 siamo quasi amici, anche se non ci siamo mai parlati. Il caddie di Haastrup
mi lancia la ProV1x del suo giocatore. Sorrido come un bambino felice.

Finito il loro giro mi siedo davanti al putting green. Entra Manassero con due palline e le mette giù. Sbaglia *8 putt di fila* da tre metri. E io penso che qualche speranza per noi c’è ancora.

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