Ott 11

Ho perso la finale del match play del mio circolo, l’unica gara da noi significativa da un punto di vista sportivo. Ci tenevo e mi dispiace. Mi ha bruciato per il pomeriggio e la notte seguente; poi mi è passata – ha vinto chi ha giocato meglio, non c’è nulla di strano in questo –, e ne ho ricavata una lezione importante.

Ho capito che al mio circolo non interessa la competizione: il mio circolo è – per scelta (assolutamente legittima, ci mancherebbe) – un’associazione ricreativa, dove la competizione non entra in nessuna maniera. (Quasi nessuna, via, perché io ce la porto – e come!)

La mia visione del golf cozza in maniera decisa con questo modo di vedere le cose, perché non mi piace vedere quegli swing orribili e quelle palle che non si staccano da terra e fanno cinquanta metri. Ovvero, o facciamo le cose per bene oppure non ci mettiamo nemmeno.

Non solo, ma vedo il golf come mezzo verso un fine, che è lo scoprire i propri limiti e cercare di mettere l’asticella sempre un po’ più in su. Il golf in questo è chiaramente uno strumento, quasi una scusa: è tutto nella tua mente. È nella mente che stanno problemi e soluzioni.

Non sono d’accordo con questa scelta. Non sono d’accordo e lo dico – che si sappia. Non posso farci nulla e pazienza, ma il golf come passatempo non fa per me, no no.


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