Feb 22

Non so da dove mi arrivi l’idea, ma funziona e desidero condividerla.

Per la pratica non tengo statistiche, ma ho una sorta di “diario di bordo” dove mi annoto i pensieri che ritengo utili per correggere degli errori, cercando di legarli a delle sensazioni (es. una particolare luce che poteva esserci in quel momento, qualcosa che mi permetta di ancorare il pensiero).

È un semplice file di Word fatto a mo’ di blog, ovvero con i pensieri più recenti in cima (e dunque visibili più facilmente, secondo l’idea che le “scoperte” recenti sono più importanti rispetto alle passate).

Il sottinteso è questo: facendo tanta pratica capita di verificare che un particolare movimento fatto in una certa specifica maniera dà un determinato risultato.

(E normalmente ciò accade verso la fine delle sessioni, perché è proprio vero quel che dice Anthony Kim:

Even when you don’t want to hit that last bucket or two of range balls, physically you can, and then maybe you find something in that last part of the session. After a while, those somethings add up.
[Anche quando non vuoi tirare l’ultimo secchio o paio di secchi di palle, fisicamente ti è possibile, e poi può essere che trovi qualcosa in questa ultima parte della sessione. Dopo un po’, tutte queste piccolezze si sommano.])

Se quell’idea non venisse fissata su carta, è possibile – financo probabile – che col tempo si perda. Il mio diario di bordo risponde proprio a questo problema.

È importante, comunque, che il concetto sia descritto con particolari – legati soprattutto alle sensazioni – che servono a richiamare il concetto nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi, ovvero almeno fino a quando quel concetto da nuovo diverrà interiorizzato con le classiche 10mila ripetizioni. (Sul concetto di 10mila – ore in quest’altro caso, ma tout se tient – si veda anche qui.)

Ecco un esempio, l’annotazione più recente nel mio diario:

in solitaria nel campo innevato per metà, 14 febbraio 2013
col drive: avere la sensazione di colpire la palla con la testa del bastone in ascesa
col sand nei pitch da 10-40 metri: tenere la palla nella parte destra della testa, o anche leggermente in fuori: questo permette di colpire esattamente nello sweet spot
col putt nei putt di media distanza: concentrarsi nel colpire all’inizio della fase ascendente, per colpire nello sweet spot

Il campo innevato per metà mi permette di richiamare più facilmente le sensazioni provate quel giorno. Leggendo le note mi rendo conto di una cosa che già so (ma che potrei dimenticare): che sto riflettendo molto sul concetto di sweet spot (e questo perché in base a quel che so ora mi pare che l’idea di uno swing “perfetto” sia poco funzionale, mentre tutti i grandi golfisti colpiscono comunque lo sweet spot la stragrande maggioranza delle volte).


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