Ott 18

Tolcinasco
Comincio dalla fine: domenica ne ho tirati 74 (tra cui 15 par di fila) ed è stato bellissimo.

Partecipavo per la prima volta al campionato nazionale mid-amateur, e già solo il fatto di poter far parte di questo evento era fonte di gioia per me.

Non ho fatto, per questioni sia lavorative che familiari, la prova campo. Il primo giorno, venerdì, ne ho tirati 85 [sic!], ma paradossalmente ho giocato molto bene (infatti non ho nemmeno preso la virgola): solo, ho cominciato con uno stupidissimo triplo bogey alla 1 (un par 5 senza grandi difficoltà) e poi, per non farmi mancare nulla, ho segnato un settuplo bogey alla 6 (un par 4 di 328 metri, dove ho tirato due palle in acqua, ho sbagliato un chip e un approccio – in questi casi gli errori vengono a cascata, si sa), ma per il resto ho fatto un dignitoso +3 in 16 buche.

Mi ricordo in particolare tre colpi:

– alla 5 (un par 4 lunghissimo), un legno 3 da 185 metri all’asta in fade che batte in green e si ferma a 3 metri dalla buca (ho poi mancato il putt per il birdie, ma questa è un’altra storia);

– alla 15, il putt per il birdie da due metri abbondanti, che già prima che partisse sapevo che sarebbe entrato (avvertivo la stessa, precisa sensazione che avevo avuto l’unica altra volta che mi ero trovato lì, qualche anno fa col mio maestro e amico Roberto Cadonati, in cui tiravo il putt per l’eagle che puntualmente imbucai);

– alla 17, un pitch schiacciato ad arrivare in green da sotto gli alberi (ho fatto bogey in quella buca, ma aver pensato e poi eseguito come pensato quel colpo è stato fonte di gran soddisfazione).

Sabato giro più anonimo in 81 (un doppio e 7 bogey, di cui gli ultimi 3 nelle ultime 3 buche). Alla 16 ho sbagliato il putt per il par da meno di un metro perché sentivo la stanchezza. E mi è venuta in mente la battuta di Scarafoni, il “cattivo” di quello straordinario film d’animazione che è La freccia azzurra (la voce è di Dario Fo): “Eh ma che finale loffio!”

Comunque venerdì ero T66 e sabato T52 (i partecipanti erano 78, e io ero al numero 69 per handicap).
Tolcinasco., il castellojpg
Il giro di domenica, come dicevo in apertura, è stato assolutamente magnifico. Era come essere col pilota automatico: i colpi andavano da soli, senza sforzo alcuno. Facevo i calcoli dei metri eccetera, tiravo e via verso il colpo successivo. Ho cominciato con birdie – bogey, poi ho continuato con 15 [sic!] par di fila. Era tutto semplice e automatico.

Solo verso la 16 ho cominciato a sentire un po’ di tensione, però è stato un agevole par. Alla 17 spedisco un ferro 9 da centro pista in bunker ma riesco comunque a fare par. Alla 18 il drive è in fairway, ma ci sono ancora 170 metri dall’asta. Non posso tirarmi indietro proprio adesso (a fare i calcoli avrei dovuto giocare per il bogey, ma quando sei in par dopo 17 buche non puoi farlo!): tiro l’ibrido – e vado in acqua. Finisco con un doppio bogey, ma è comunque un giro che ricorderò molto a lungo e con piacere; tra l’altro fatto con compagni di gioco assolutamente simpatici e supportevoli.

Risultato finale T30 (240 colpi).

I dati per domenica (tra parentesi quelli cumulativi dei tre giorni);

– colpi: 74 (80)
– fairway: 86% (71%)
– GIR: 67% (54%)
– up and down: 80% (50%)
– putt: 30 (30,67)
– putt per GIR: 1,92 (1,95)

Ho curato l’allenamento mentale soprattutto; ma poi penso che quando le cose girano girano comunque, non è questione di Polase o che. E io domenica ho lasciato che le cose andassero per così dire da sole – come detto, mi pareva di avere il pilota automatico.

Ma la lezione più importante che ricavo da questi giorni splendidi non riguarda domenica – che cosa puoi imparare da un giro pressoché perfetto? –, quanto piuttosto gli errori, e segnatamente quell’11 del primo giorno. Allora ho ripercorso la buca nel dettaglio.

Intanto, è un par 4 corto (328 metri, diciamo legno 3 e ferro 8), con acqua sulla sinistra lungo quasi tutto il percorso e poi anche sulla destra nei pressi del green. Green che è ben difeso da diversi bunker, ma la buca in sé non presenta difficoltà soverchie.

Ad ogni modo io ho spedito il legno 3 verso l’acqua (solito problema dei fianchi che non girano come dovrebbero), ma la palla colpisce gli alberi e si ferma a 3 metri dall’acqua. Anziché dichiararla ingiocabile, prendere la medicina e giocare di fatto per il doppio bogey, voglio comunque colpirla – e la mando in acqua. Droppo dallo stesso punto – e la rimando in acqua. A questo punto mi rendo conto che probabilmente non è quella la via migliore. Allora vado indietro di una quindicina di metri, passati gli alberi, e droppo lì. Dovrei fare un chip con un pitch, ma ho con me solo l’ibrido e il ferro 5 e non voglio far aspettare troppo i compagni di gioco che sono già sul green; uso il ferro e la palla fa pochi metri, rimanendo ancora in rough. Altro chip, due approcci e due putt per un 11 totale che mi sorprende prima e più che darmi onta.
Tolcinasco, la 18
È comunque da buche come queste che si può imparare, ovvero occorre fare una disamina lucida e onesta a gara conclusa e chiedersi che cosa si sarebbe dovuto fare, preparandosi dunque a quel che si potrà fare la prossima volta in cui una situazione del genere capiterà (perché capiterà, è sicuro!).

E l’altra lezione è quella dell’allenamento mentale cui accennavo sopra: ricordo perfettamente che domenica ho smesso di tirare colpi in campo pratica 25 minuti prima del tee time, proprio per prepararmi da un punto di vista mentale. Il risultato era che ero assolutamente calmo quando è stato il mio turno di tirare, e da lì le cose sono poi andate a cascata in maniera sequenziale e assolutamente naturale.

Detto ciò, rimane l’enorme soddisfazione per il giro. Se nei giorni precedenti mi mancavano un po’ le motivazioni, ne ho trovate un’infinità nel giro di domenica – questo è il golf.


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