Feb 03


Maria Pia Gennaro, decana tra i giornalisti italiani di golf, non ha bisogno di presentazioni. Io ho la fortuna di averla come direttrice della rivista sulla quale scrivo recensioni di libri di golf, “Golf Today”, e ho approfittato di questa conoscenza per farle qualche domanda.

Partiamo dall’oggi. Com’è nata l’avventura di “Golf Today”?
Dopo 11 anni a “Golf & Turismo” avevo voglia di cambiare; sin da ragazzina ho avuto la passione per “Golf World” (ero abbonata a 14 anni). Così con l’aiuto di Claudia Murri ci siamo mosse per mettere in piedi la rivista che avevo sempre sognato, quella che avrei voluto leggere da golfista e che a “Golf & Turismo” non avrei mai potuto fare perché troppo compressa e dipendente dal commerciale.

Come sei diventata giornalista?
Per scherzo. Giocavo ma amavo molto anche seguire gli Open, in Svizzera (Crans) e in Inghilterra dove andavo a studiare l’inglese. Così avevo conosciuto i giocatori che ai tempi erano molto meno sportivi e più goliardici di adesso. A Crans sono stata avvicinata da una signora, Lio Selva, che mi disse di avere appena aperto una rivista, “Parliamo di golf”, e mi chiese se volevo scrivere il report del torneo. Io frequentavo il primo anno in Bocconi e non avevo mai fatto nulla del genere: lei mi consigliò di pensare di fare un tema. Il risultato le piacque e così non ho più smesso, scoprendo che la mia strada era proprio quella.
Ho iniziato per scherzo, ho continuato con i profili dei campioni dell’epoca. Lio era una persona deliziosa che mi ha insegnato moltissimo. Mi ha sempre lasciato mano libera senza mai impormi nulla.

Com’era il golf italiano in quel periodo?
Pochi ma buoni, signori, poco truffaldini e molto corretti anche perché i segretari/direttori erano molto attenti alle regole. Io ricordo con immenso piacere il mio “maestro” di etichetta cui devo moltissimo, Ettore Muzio.

La tua passione per il golf traspare in ogni cosa che fai. Mi racconti come è nata?
Ho iniziato a giocare a 12 anni seguendo i miei. Non è stato amore a prima vista. Preferivo seguire le gare. Poi, improvvisamente, verso i 17 anni è nato l’amore. Ho iniziato con Pietro Manca e posso dire di avere avuto tutti i migliori maestri: Lillo Angelini, Carlo Grappasonni ma soprattutto la mia grande passione, Alberto Croce.

Noi sappiamo tutto – si fa per dire – del tuo golf raccontato, ma mi parli del tuo golf giocato? Qual è il tuo handicap? Quante volte giochi? Dove?
Non gioco più da cinque anni per problemi fisici, schiena, spalle e recentemente dell’altro. In più quando sei immerso in un mondo per 24 ore al giorno per lavoro non è più rilassante continuare a rimanerci dentro per gioco.
L’handicap era in clamorosa salita (7.3). Giocavo ultimamente non più di una volta a settimana mentre prima, quando facevo tornei, con un hcp fra il 2 e il 3, a livello nazionale ed ero ancora all’università, giocavo anche quattro volte. Sono golfisticamente nata a Varese dove sono rimasta per 30 anni vincendo anche qualche titolo nazionale.

Il tuo libro, Il fascino del golf.
È stato scritto d’accordo con l’editore, Whitestar, e mi dicono abbia avuto un grandissimo successo perché è introvabile o quasi. Ne sono molto fiera. È il quinto libro cui collaboro e devo dire che mi diverto molto.

Che cosa rappresenta per te il golf oggi?
Grande divertimento, passione, lavoro. In poche parole: la mia vita.

Qual è il golfista che hai apprezzato o apprezzi di più, e perché?
Il mio mito sarà sempre e comunque Ballesteros. Ho avuto la fortuna di vederlo giocare nei suoi anni migliori e di giocarci insieme spesso in allenamento. Avresti dovuto vedere come uscivo dagli alberi in quel periodo…
Per me è il GOLFISTA che ha compendiato tutto: carisma, talento, classe, bellezza, simpatia… Amo molto anche Tiger che, insieme a lui, mi ha dato belle emozioni anche se in misura minore.

Mi dici qualcosa di più del tuo rapporto con Ballesteros?
Sul rapporto con Seve potrei scrivere per ore. Preferisco però dire che ci siamo conosciuti a 17 anni ed è subito nata una sincera amicizia che non si è mai interrotta. Lui era attaccato anche a mio figlio, come a moltissimi bambini. È il giocatore che mi ha dato le massime emozioni in campo.
Seve era serio anche a 17 anni, a metà degli anni Settanta, quando un Open come Crans era considerato puro divertimento e la club house la sera diventava una discoteca dove non mancava nessuno. Seve stava lì ma alle 11 cascasse il mondo andava a dormire, mentre altri stavano fino all’alba presentandosi poi direttamente sul tee della 1. Uno di questi era Greg Norman!

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Nov 11


La prima volta che ho visto Marco Soffietti di persona è stato all’Open d’Italia del 2008, dove arrivò decimo (e primo tra gli italiani). Lo ricordo vicino al tabellone dei risultati, da solo. Avrei voluto avvicinarmi e dirgli bravo, ma non lo feci.

Poi lo vidi l’anno scorso al PGAI Championship di Margara, l’ultimo giorno, senza caddie, terminata la buca 10 dove lui aveva appena fatto bogey. Era un momento di difficoltà ed era da solo, soffrivo con lui ma non dissi nulla.

La terza volta è stato alla Pro-Am del mio circolo, un ragazzo gentile che si presenta e inizia a parlare con me, che ero un perfetto sconosciuto.

In questi giorni ho avuto l’onore di avere con lui una lunga conversazione di golf. Ha detto cose molto interessanti. Io gli ho fatto alcune domande, ma senza avere con me un registratore: di certo mi sono sfuggite tante cose, ma si sarebbe persa la spontaneità dei suoi discorsi.

Soprattutto, mi è stato chiaro che un campione ragiona diversamente da noi comuni mortali. “Io dico ai ragazzi: prima di scendere in campo definisci il numero di errori che ti permetti per il giro. Quando ne avrai fatto uno lascialo andare e passa al colpo successivo”. Mi aveva colpito a questo proposito un’intervista in cui il giornalista, all’Open d’Italia del 2009, gli chiedeva: “Domani allora, l’ultimo giorno, si deve fare veramente sul serio”. E lui, quasi stizzito: “Non si deve fare: quello che viene viene”. Questo è uno dei due o trecento tratti che distingue un fuoriclasse da noi golfisti dilettanti.

Marco Soffietti, ragazzo di famiglia normalissima, ha cominciato come caddie al circolo golf Torino e quando gli è stato permesso di giocare a golf aveva 14 anni. Dopo poco più di due anni era scratch – se non è segno di talento questo… (E non può non venire in mente Greg Norman, che prese in mano un bastone la prima volta a 15 anni.)

I risultati maggiori sono legati all’Open d’Italia: decimo, come detto, nel 2008, e diciassettesimo l’anno successivo. Poi probabilmente nella vita di un giocatore arriva il momento in cui fai il bilancio tra il gioco giocato e l’insegnamento e ti rendi conto che gli anni sono passati, tu sei giovane ma non più giovanissimo e continuare questa vita così vagabonda potrebbe non essere il caso – anche se il talento è indiscutibile. Allora l’insegnamento diviene lo sbocco naturale.

E anche in questo campo la bravura non gli manca: tra i suoi allievi ci sono diversi nazionali, e le sue lezioni sono prenotate con settimane d’anticipo. È molto appassionato sul tema, come si evince dalle sue parole; e poi quando hai dei giovani che ottengono risultati, vanno in nazionale e così via, ciò aumenta ancora la voglia di fare bene. Son soddisfazioni.

Quindi l’insegnamento come mestiere: e sempre al circolo golf Torino, club al quale ricorda di dovere molto e di cui parla sempre con grande stima; anche se dai suoi occhi e dalle sue parole, pur essendo lui una persona soddisfatta e realizzata, si coglie ancora questo desiderio di provare la strada del Tour maggiore. Staremo a vedere ciò che deciderà. D’altra parte, col suo talento 34 anni non sono troppi per tentare di arrivare a tempo pieno sul Tour.

Una persona molto pacata, con opinioni molto interessanti. Molto interessante vedere, ascoltare non tanto e non solo come ragiona un professionista di golf, ma come ragiona un giocatore del Tour; e chiaramente, come dice lui, “quando insegni il fatto che tu abbia giocato o giochi sullo European Tour è ben diverso rispetto al fatto che tu sia un pro e basta, perché comunque ciò che puoi trasmettere è di gran lunga superiore”.

Abbiamo parlato anche del putt. Gli ho chiesto perché a suo parere è uno degli aspetti più trascurati nell’insegnamento golfistico. “È il mercato che lo richiede, perché il golfista medio fatica ad arrivare in green e di conseguenza il putt è come un pensiero dell’ultimo momento. Il golfista vuole imparare a tirarla lunga, il più lontano possibile, e quindi di fatto chiede che gli venga insegnato lo swing e non il putt”. Chiaramente con i suoi allievi di punta dedica tantissimo tempo al gioco corto, al putt e al campo.

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Ott 07


Gabriele Heinrich, handicap (ancora per poco) +2 o giù di lì, giovane promessa del golf italiano, era a Sutri il mese scorso ed è stato tra i “felici pochi” di morantiana memoria. (Un altro pianeta, per me.) Non mi sono lasciato sfuggire l’occasione per fargli qualche domanda.

Hai passato la preselezione alle Querce. Questo cambia qualcosa per te?
La preselezione alle Querce è stato il primo obbiettivo raggiunto tra quelli che mi sono prefissato. È stato molto importante per me passarla perché mi darà la possibilità in futuro di lavorare al fianco di grandi insegnanti e chissà, magari di crescere qualche futuro campione.

Che ricordi hai di quella settimana? Episodi, aneddoti, curiosità?
È stata una settimana piena di emozioni: la tensione del primo giorno (andato male, 79), la rimonta del secondo e del terzo in condizioni davvero difficili, e l’ultimo giro dove sapevo che se fossi stato attento (salvo impossibili rimonte degli avversari) sarei passato.

Che cosa rappresenta per te, il golf?
È un’ancora di salvezza da tutte le cose brutte che ci sono fuori: quando entro nel club mi sento in un universo parallelo che mi isola dai problemi che ho all’esterno.

Come ti sei avvicinato a questo sport?
Iniziai a 7 anni grazie a mio padre e mio zio che mi portarono a fare una passeggiata in un circolo di golf ad Asiago, dove conobbi il mio primo maestro, Antonello Ballarin, il quale mi insegnò i fondamentali del gioco. Poi, tornato a Venezia con la voglia che tutti i bambini hanno quando giocano a una cosa nuova, io, mio padre e mio zio ci iscrivemmo a Villa Condulmer dove incontrai Davide Villa, che mi fece prendere l’handicap e mi portò a buoni livelli di gioco; ma avevo bisogno di qualcuno che mi insegnasse una tecnica migliore e sapesse controllare il mio carattere molto forte. Mi affidai ad Enrico Trentin che a 11 anni mi prese sotto la sua ala e mi portò ad entrare in nazionale nel 2006 e ancora oggi mi segue e lavora con me sul mio swing, la strategia e mi dà fiducia.

Chi è il golfista cui ti ispiri maggiormente e perché?
Non ho un modello di golfista da imitare, penso che il golf sia uno sport individuale e ogni giocatore ha le sue caratteristiche tecniche, fisiche, e mentali; tuttavia tra i giocatori che mi piacciono molto ci sono Ernie Els, Louis Oosthuisen e Francesco Molinari.

Quali sono i tuoi programmi golfistici per la stagione 2012? E più a lungo termine come ti vedi? Farai il maestro?
Nel 2012 frequenterò la scuola nazionale di golf per diventare maestro e poi inizierò ad allenarmi duramente per prendere la carta del tour nei mesi successivi. Per ora insegnerò golf per mantenermi perché il mio progetto a lungo termine è quello di prendere la carta del tour e fare la carriera da giocatore di torneo.

Ti piace insegnare?
Insegnare mi piace, soprattutto ai bambini che si vogliono divertire e non vedono l’apprendimento come una cosa seria ma un gioco: ecco, a me piace inventare giochi nuovi per farli divertire.

Che cosa pensi dell’aspetto mentale nel golf?
L’aspetto mentale nel golf è il 50% del risultato finale, una buona preparazione mentale è la chiave di un buon golfista. Quando vediamo i giocatori del tour fare la routine prima del colpo non stanno solo guardando dove tirare la palla, ma stanno mettendo in pratica anni di allenamento fisico, tecnico e mentale per far sì che la palla vada esattamente dove vogliono: questa è la grande differenza tra un buon giocatore e un gran giocatore.

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Set 16


Maria Paola Fiorio, giovane promessa del golf italiano, si allena spesso ai Ciliegi, dove è seguita dal maestro Diego Fiammengo. Nata il 21/12/1993, ha iniziato a giocare a golf a undici anni grazie alla famiglia. Dopo qualche gara di circolo nelle quali si è abbassata radicalmente, ha iniziato a fare le gare giovanili ottenendo il primo anno il Brevetto, il secondo il Brevetto Giovanile, il terzo il Brevetto Nazionale, per entrare infine nella squadra nazionale con la qualifica di “probabile nazionale”. Il 2011 è stato il suo secondo anno in squadra.

Nella sua carriera golfistica è diventata due volte campionessa regionale sarda quand’era iscritta al Pevero Golf Club. Sempre negli stessi anni è arrivata terza al Trofeo Nazionale Gianluca. Quest’anno è stata scelta per giocare in Francia il Quadrangolare Girls, una gara internazionale che fa da apertura alle gare della stagione. E sempre quest’anno è arrivata in semifinale ai campionati italiani match-play.

Luciano De Stasio, il mio preparatore atletico – che non ringrazierò mai abbastanza, ma questa è un’altra storia -, e io abbiamo preparato alcune domande: ecco a seguire la nostra chiacchierata con lei.

Iniziamo dal soprannome col quale sei conosciuta, “Banana”: ovviamente ricorda lo slice del golf, ma non so se ha a che fare col nostro sport. Puoi raccontarne l’origine e gli sviluppi?
Il mio soprannome è nato quando ero molto piccola, non conosco esattamente le dinamiche. Forse avevo appena un anno quando mio papà mi chiamò Banana per la prima volta e da quel momento non me lo sono più tolta. Alcune persone che mi conoscono da quando sono piccola non si ricordano neanche il mio vero nome…

Come e quando hai iniziato a giocare a golf?
Prima di iniziare a giocare a golf correvo in pista con il go-kart. Poi un giorno il go-kart viene venduto e in cambio ricevo una sacca da golf. Avevo 11 anni, ne avrei compiuti 12 a dicembre. All’inizio i miei genitori me lo imponevano e io l’odiavo ma poi è scattato qualcosa… ora è la mia più grande passione.

Ti vediamo spesso sudare in campo pratica ai Ciliegi col tuo maestro Diego Fiammengo. Puoi descrivere una tua seduta di allenamento tipica?
Beh, diciamo che non ho una “seduta tipica” nel senso che cerco sempre di dividere al meglio il mio tempo tra gioco corto, putting green, campo pratica e campo. Magari ci sono volte in cui mi alleno di più su una parte del gioco perché sento la necessità, ma non ho un programma preciso di allenamento. Sarebbe corretto averlo ma prima di fare un programma di allenamento dovrei capire come vorrei farlo in modo che non diventi noioso e che effettivamente mi aiuti a migliorare.

E ci parli del rapporto col tuo maestro? Che cosa ti ha insegnato, soprattutto, Diego?
Diego è speciale. Adoro allenarmi con lui, soprattutto quando andiamo a fare le sfide in campo. È proprio durante queste che imparo di più… Un bravo maestro non è solo colui che sta in campo pratica a insegnarti lo swing (tutti sono capaci) ma soprattutto colui che ti insegna come ci si muove in campo, che ti insegna diversi tipi di colpi e soprattutto a divertirsi mentre si gioca.

Che cosa diresti a noi comuni mortali che volessimo raggiungere un handicap simile al tuo?
Considerando il fatto che sono anche io ancora una comune mortale (ovvero non ancora pro) da uno/a più forte vorrei sentirmi dire che dopo i sacrifici fatti, l’impegno e la passione impiegati negli allenamenti, alla fine si raggiungono gli obiettivi e se anche non si raggiungono si è dato il massimo e questa è la più grande soddisfazione della vita!

Quale ritieni sia la tua miglior qualità nel golf? E il difetto che vorresti eliminare?
Probabilmente la mia miglior qualità è la tranquillità che però può essere considerata anche il mio più grande difetto. Ci vuole adrenalina per giocare ad alti livelli e a me manca…

Come ti vedi, golfisticamente parlando, tra dieci anni?
Non penso moltissimo al mio futuro ma ultimamente ho un pallino in testa, le olimpiadi 2016! Detto ciò è molto probabile che dopo il college provi a passare pro e magari prendere una carta nel LPGA. Ovviamente vorrei essere una delle donne più competitive al mondo e perché no giocare anche nella Solheim Cup.

Oggi lo sport agonistico ci regala prestazioni eccezionali, gli atleti in molte discipline raggiungono risultati incredibili: che cosa ci dobbiamo aspettare nel golf negli anni a venire?
A mio avviso negli anni a venire ci si può aspettare grandi cose dal golf sia a livello nazionale sia internazionale: a differenza di anni fa dove il golf veniva visto come uno sport per vecchi, oggi è visto come uno sport agonistico dedicato ai giovani appassionati ed è così che questo gioco è ora all’altezza di essere praticato alle Olimpiadi. In più il miglioramento della tecnologia e la continua evoluzione dei materiali ha permesso apprendistato più veloce per i principianti e delle prestazioni maggiori per i giocatori già più esperti.

Quali sono gli aspetti determinanti nell’allenamento del golfista che possono portare a un miglioramento della performance?
Al contrario di quello che è comune pensare, l’allenamento per il miglioramento della performance non è interamente svolto sui campi: la preparazione mentale è altrettanto importante di quella fisica.

Cosa pensi della preparazione atletica e dell’alimentazione nell’ambito dell’allenamento golfistico?
La preparazione fisica sta alla base di tutto l’allenamento golfistico. Con un fisico atletico è molto più semplice dare il 100%, poiché è più facile mantenere la concentrazione. Un’alimentazione corretta è fondamentale per aiutare il fisico a reagire nel migliore dei modi soprattutto durante la competizione.

In Italia spesso i ragazzi che praticano sport agonistico hanno difficoltà a conciliarlo con gli studi e purtroppo non sempre gli insegnanti supportano chi si dedica alle competizioni. Tu come ci sei riuscita? E quanto tempo dedichi al golf?
Questo è un grosso problema; io ho infatti dovuto cambiare scuola a metà della terza superiore proprio per questo motivo. Ora frequento una scuola che mi permette a grandi linee di allenarmi. Purtroppo in Italia non si ha ancora la concezione di sport agonistico come in America, e infatti i grandi giocatori provengono dal continente americano piuttosto che quello europeo. Cerco sempre di dedicare al golf il maggior numero di ore possibili, anche se la qualità dell’allenamento è più importante rispetto alla quantità.

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Set 09


Ho conosciuto Martina Migliori, giovane giocatrice di belle speranze, in una gara recente a Cuneo, che è il mio secondo circolo de facto (anzi, nel periodo estivo è quasi il mio circolo per eccellenza, il luogo dove ho trascorso molte mattine d’agosto a tirare palle come un forsennato alla ricerca del mio swing).

(In quella gara una volta sola sono riuscito a superarla con il drive, e solo di un paio di metri… ehm.)

Curiosamente saremo compagni d’avventura a Sutri tra pochi giorni. Mi è sembrato che le sue qualità golfistiche e il suo saper stare in campo siano doti interessanti da esplorare. Le ho fatto allora qualche domanda: qui a seguire la nostra conversazione.

Come e quando hai iniziato a giocare a golf?
A 13 anni, e nell’agosto 2004 ho preso l’hcp (anche se a 7/8 anni avevo già provato a tirare qualche pallina).

Che cosa rappresenta il golf per te?
Una via d’uscita dalla monotonia della vita quotidiana. Finita la scuola quasi tutti i ragazzi si iscrivono al’università, io invece mi sono data al golf! Diciamo che per me è uno sport, un divertimento ma anche un lavoro.

Sei passata da un handicap di 4.5 a inizio anno ad uno di 1.4 attuale, il che è un salto notevole (la barriera del 4 è uno scoglio grande per quasi tutti i golfisti). Mi racconti come hai fatto?
Nel 2009 avevo già raggiunto un hcp di 2.0, ma a causa della scuola non sono riuscita ad allenarmi come desideravo e sono ritornata a 4.5. Terminata la scuola ho deciso di darmi totalmente al golf, ma ad ottobre 2010 mi sono trovata in una situazione di stallo in cui non riuscivo a giocare neanche un 4 di hcp! Allora insieme a mia mamma ho deciso di provare a cambiare maestro: scelta vincente! Grazie al mio nuovo maestro – Giuseppe Bertaina – sono riuscita a fare un salto tecnico notevole che mi ha portato all’hcp attuale di 1.4. Sono passata addirittura dal giocare i ferri in grafite donna a quelli in acciaio Nippon uomo!

Mi descrivi una tua seduta di allenamento tipica?
Inizia con un bel riscaldamento che mi consenta di effettuare la pratica senza problemi fisici. Poi passo al campo pratica… ormai nei circolo in cui mi conoscono sono diventata una disgrazia perché tiro dalle 400 alle 800 palle al giorno! Finita questa sessione di pratica passo al putting green: al putt dedico circa un’ora, passando a contare quanti putt sbaglio da 1,20 metri (ieri sono arrivata a tirarne 100 di seguito senza sbagliarne nessuno!!!) fino a sfruttare tutto il putting green per i putt lunghi. L’approccio secondo me è la parte più difficile da allenare perché per farlo bene bisogna disporre di un’area approcci adeguata, cosa molto difficile da trovare. Alla fine dell’allenamento (se non è diventato ancora buio!) c’è sempre un po’ di tempo per fare una sfida tra amici.

Quante volte ti alleni la settimana, e per quanto tempo?
Mi alleno sei giorni a settimana e al golf cerco di passare più tempo possibile.

Quale ritieni sia la tua miglior qualità nel golf? E il difetto che vorresti eliminare?
La mia migliore qualità è che dai posti più difficili riesco a fare colpi incredibili… è più facile che mi parta un colpaccio da centro fairway! Una mia qualità è quella di essere medio-lunga con i ferri, cosa che mi permette di attaccare il green con un ferro 8/9 invece che con un 6/7. Un mio grande difetto è il gioco attorno al green, ma ci sto lavorando alla grande!

Mi parli dei tuoi programmi golfistici futuri?
La prima gara prevista nel mio programma è la preselezione presso il golf club le Querce per diventare maestra. A gennaio andrò in spagna a provare le prequalifiche per il LET.

Come ti vedi, golfisticamente parlando, tra dieci anni?
Mi vedo in un sogno! Spero di diventare presto professionista e di poter partecipare alle gare del tour. E nel caso non riuscissi a giocare potrò sempre tentare l’insegnamento!

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Apr 29


Sarà un po’ perché mi ci vedo riflesso, ma mi interessano tantissimo le storie dei professionisti di golf – ci sono molte lezioni da imparare. Ho conosciuto Marta Cagnacci da poco tempo, grazie a mia figlia che ha iniziato il corso ai Ciliegi. Allora ho colto al volo l’occasione per farle qualche domanda.

Intanto, eccone una breve autobiografia:

Sono nata nel 1989, ho iniziato a giocare a golf a 6 anni perché giocava la mia famiglia. A 10 anni ho preso l’hcp alla Margherita; nell’estate del 2000 ho fatto le prime gare giovanili e con quelle mi sono appassionata sempre di più.
Nel 2001 ho preso il Brevetto e partecipato ai miei primi campionati nazionali; nel 2002 ho ottenuto il Brevetto Giovanile, e nel 2005 il Brevetto Nazionale; in quello stesso anno ho vinto il Pallavicino (campionato nazionale a squadre under 18) per il golf Margherita.
Nel 2006 ho vinto il ranking nazionale under 18 e sono entrata nella nazionale dilettanti.
Nel 2008, dopo aver preso la maturità linguistica, mi sono preparata per andare alla gara di preselezione per accedere al corso per diventare professionista.
Da gennaio ad aprile 2009 ho frequentato la scuola nazionale professionisti ottenendo la qualifica di tirocinante. Da quando sono professionista lavoro al GC Colonnetti; ho lavorato al GC La Margherita seguendo il club dei giovani e a Bardonecchia presso un piccolo campo pratica estivo.
Nel 2010 ho ottenuto la qualifica di assistente B sempre presso la scuola nazionale professionisti.
Oggi insegno al Colonnetti e ai Ciliegi (dove mi occupo del club dei giovani) e sono iscritta alla PGA italiana.

Ed ecco a seguire l’intervista. Tra parentesi quadre alcuni miei commenti.

Come e a che età ti sei avvicinata al golf?
A 6 anni: la mamma e i nonni giocavano al golf Girasoli, così io ho iniziato a frequentare il club dei giovani.

Perché hai deciso di fare del golf la tua professione?
Perché credo che non ci sia niente di meglio che fare della passione di una vita un lavoro!

Sei soddisfatta della tua scelta?
Assolutamente sì, non tornerei mai indietro; e soprattutto insegnare mi piace più di quanto mi sarei immaginata quando ho deciso di intraprendere questo percorso.

Nel tuo futuro golfistico vedi più l’insegnamento o i tornei?
Senza dubbio l’insegnamento! Diciamo che aspirare ai tornei sarebbe un po’ surreale – e comunque avrei dovuto pensarci prima!

Nei quattro giorni della tua gara per diventare professionista hai avuto risultati altalenanti (cosa che credo peraltro comune), ma con esito positivo. Puoi raccontarmi i tuoi ricordi e le tue sensazioni di quei giorni?
Mi ricordo perfettamente ciò che disse la mamma appena finita la gara: “I tuoi score sembravano un elettrocardiogramma, ci hai fatto patire!” E aveva ragione (85-74-82-76)!
Il primo giorno ero tesissima… me la tiravo nei piedi! I due giorni centrali ricordo di aver giocato (per quanto possibile!) tranquilla, mentre l’ultimo giorno ero di nuovo abbastanza tesa (avrei dovuto fare 79 per passare). E devo ammettere che il mio caddie, nonché carissimo amico, Alessandro Palomba, è stato fondamentale: ha saputo esattamente come muoversi per non darla vinta alla tensione (sempre punto debole nella mia carriera golfistica!).

Hai un tuo maestro? Se sì, quali sono gli aspetti più positivi dal lavoro che svolgi con lui/lei?
Il mio maestro è Andrea Aghemo, lavoriamo insieme dal 2005. Ultimamente vado a trovarlo poco e soprattutto sono molto indisciplinata nel mettere in pratica i suoi consigli (non faccio mai i compiti a casa)… diciamo che ora come ora sono una pessima allieva!
Comunque, tornando a quando mi allenavo un po’ più seriamente, non saprei dire su che cosa abbiamo lavorato meglio… non c’è un aspetto migliore di altri, abbiamo svolto – credo – un ottimo lavoro su tutto… gioco corto, lungo, tattica, strategia, preparazione atletica, aspetto psicologico, emotività (quest’ultimo con pessimi risultati!).

Qual è il campo che preferisci?
Scelta difficile… ce ne sono tanti splendidi… da Milano, al golf Torino, a Castelconturbia, al Gardagolf… anche se forse sul gradino più alto del podio metterei la Margherita: ci ho giocato per dieci anni e non mi sono mai annoiata.

Qual è il tuo colpo preferito?
Il drive.

E qual è, invece, quello che ti dà più ansia?
Il putt da 80 cm! [non mi sorprende: a parere di Dave Pelz, uno che la sa golfisticamente mooolto lunga, il putt corto è in assoluto il colpo più difficile nel golf]

Quanto conta a tuo parere l’aspetto mentale nel golf?
Sicuramente troppo!

Qual è il colpo più sottovalutato dal golfista medio, ovvero quello al quale dovrebbe dedicare più cura rispetto a quanto fa?
Tra approcci e putt si sprecano troppi colpi… quante volte capita di vedere giocare a ping pong intorno al green o alla buca? Mentre è già più difficile vedere giocare a flipper da una parte all’altra del fairway. E in ogni caso non si dice niente di nuovo, il golfista medio lo sa, è solo che non è divertente dedicarsi al gioco corto!!! [mi permetto di dissentire: tra le ore migliori che trascorro al golf ci sono senz’altro i momenti passati nella zona degli approcci e sul putting green; anzi, onestamente non so dire quale dei due preferisco… “perfect practice makes perfect”, per dirla con Vince Lombardi]

Grazie Marta!

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Apr 01


La serie di interviste di Campo pratica si arricchisce oggi con la conversazione avuta con Mimmo Garibbo, che è l’anima che sta dietro a Webgolf, un servizio gratuito riservato ai golfisti dilettanti. Qui informazioni più dettagliate.

(In precedenza ho parlato con Bernard Lombard, Antonio Burzio e Alessandra Donati. Altre interviste seguiranno nei mesi a venire.)

Gianni: Quali sono i benefici per i Webgolfer?

Mimmo: Con la registrazione gratuita il golfista dispone prima di tutto di un archivio completo e sistematizzato dei risultati ottenuti in gara. Dove ho giocato, in quali campi, quante volte, quando ho fatto il mio massimo stableford e qual è la media stableford dei risultati: questi sono alcuni esempi delle risposte che il sistema mette immediatamente a disposizione del WebGolfer fin dal momento stesso della registrazione.
Ma come tutti sappiamo i golfisti amano confrontarsi, discutere all’infinito delle rispettive prestazioni, e sopratutto sfidare i propri compagni di gioco: ed è qui che WebGolf risulta veramente innovativo. Come su Facebook il Webgolfer può crearsi delle amicizie con cui condividere e confrontare grafici e statistiche di gioco, e sopratutto lanciare sfide virtuali (anche giocando in tempi e campi diversi).
Come in qualunque sfida, anche qui c’è qualcosa in palio: i WBG Coins, che sono la moneta virtuale del sistema e sono ottenuti dai golfisti in proporzione al proprio curriculum all’iscrizione e ai propri risultati di gioco effettivo, e poi utilizzati come posta in gioco sulla sfida.
Quindi ogni WebGolfer dispone di un portafoglio di WBG Coins e di un estratto conto che traccia tutte le variazioni del proprio gruzzolo di WBGCoins a seguito di guadagni (risultati i gara) e spese (sfide perse).
Il progetto è partito solo pochi mesi fa, ma presto i WBGCoins potranno essere “spesi” anche per partecipare a operazioni a premio, convenzioni e offerte rese disponibili dagli sponsor e dai circoli che stanno aderendo al progetto.
Sul sistema, tutt’ora in corso di sviluppo, sono poi disponibili molte altre funzionalità tra cui schede dei campi da golf preferiti, calendari gare e sopratutto speciali classifiche che premiano bimestralmente i WebGolfer con le migliori prestazioni. Un blog aggiornato con articoli tecnici di professionisti e ospiti vari completa attualmente l’offerta.

G: Qual è il profilo-tipo dei vostri utenti?

M: Coincide con il profilo tipico dei golfisti dilettanti: 70% uomini, con prevalenza di età da 30 a 60 e con una territorialità molto ben distribuita.

G: Quali sono i progetti per l’immediato futuro, relativamente al sito?

M: Creazione squadre e relativi leaderboard; sfide ricorrenti automatiche; caricamento score buca per buca; statistiche di gioco (fairways presi, numero di putt, green in regulation, sand saves e così via) e gestione giri allenamento.

G: E per il futuro a lungo termine?

M: Servizi web per i circoli e soprattutto tanti accordi, convenzioni e concorsi con gli sponsor per una buona convertibilità dei WBG Coins.

G: Ora qualche domanda più generale sul golf. Come vedi le prospettive dello sviluppo del golf amatoriale in Italia?

M: Un generale (e salutare) ricambio generazionale, una modifica del profilo tradizionale del golfista (oggi troppo elitario e snob), una gestione più manageriale/commerciale dei circoli, (purtroppo) non un gran aumento dei golfisti in valore assoluto.

G: Le tue impressioni sul Circolo degli Ulivi. (Te lo chiedo perché per me personalmente è uno degli emblemi del golf italiano.)

M: Un gran bel campo che impressiona per l’abilità del progettista che in una tale orografia è riuscito a fare stare un campo divertente, sempre impegnativo e che quindi non annoia mai. Uno staff tecnico professionale e gentilissimo con un servizio quasi introvabile in altri campi.

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Mar 18


Alessandra Donati è una ex bancaria appassionata di golf che da tre anni
gestisce il blog Golfissazione. Una “collega”, potrei dire. Il suo blog è una sorta di teatro della vita – perché il golf non è altro che uno specchio della vita stessa, e Alessandra ha la sensibilità per coglierne le varie sfumature, sia positive che negative. Allora la conversazione con lei è partita dal golf (ovviamente), ma si è poi allargata ai medesimi temi di cui tratta La vita 2.0.

Abbiamo parlato del suo handicap di gioco (“Non conosco esattamente il mio ega, so che nel mio campo gioco 25”), e mi ha colpito il fatto che qualcuno che tiene un blog di golf non conosca il suo handicap. Ma poi ho capito: la risposta corta è ars longa vita brevis. Quella più articolata, che mi ha dato lei, è questa:

Il mio handicap, che era sceso fino a 18, col tempo è risalito perché non gioco più con la passione di prima. Non sono abbastanza motivata a migliorare, ho troppi interessi diversi e la vita è breve. Ossia la passione c’è ancora ma si è trasformata in qualcosa di diverso. Apprezzo il verde, l’aria pura, la compagnia delle persone con cui gioco e la meditazione che il gioco mi dà. Sono completamente presente a ciò che faccio quando gioco: ecco come medito.
Poi devo dire che gioco peggio da quando ho il blog, da quando scrivo di golf e ho una corrispondenza con i miei lettori, che adoro. Sono tutte persone fantastiche: nemmeno se li avessi scelti uno ad uno avrei potuto fare di meglio. Ho più stimoli umani che di gioco.
Comunque devo ammettere che quando gioco proprio male non mi diverto affatto.

Gianni: Mi parli dei tuoi libri di golf?

Alessandra: Il primo è un libro cartaceo dal titolo Tutti pazzi per il golf, una raccolta di racconti ironici che avevo scritto sul mio primo blog (che non esiste più). Il secondo è un libro “mentale” su come migliorare a golf e nella vita, un ebook di 160 pagine, dal titolo 10 passi per imbucare a golf e nella vita. Parla di autostima, fiducia in sé e sicurezza, come acquisirla per vincere paure, dubbi e preoccupazioni. Sai quando pensi ‘Non so che ferro tirare, ci vorrebbe il 7 ma uso il 6 per paura di stare corto…’, e poi fai una flappa con palla in acqua? Ecco a cosa serve nel golf!

Gianni: Come si fa per averli?

Alessandra: In questo momento non sono in vendita sul sito, ma sto rimediando.
Il mio libro cartaceo l’ho venduto personalmente nei campi da golf e nei pro shop dando in beneficenza il ricavato alla Shalom onlus, cosa di cui sono molto contenta.
L’altro, l’ebook, ho iniziato a venderlo su Internet e ha avuto una buona accoglienza, per questo motivo lo sto rilanciando. Lo metterò in vendita insieme a due report (mini-ebook di una ventina di pagine l’uno) e un buono sconto per un viaggio di golf.

Gianni: Che cosa hai imparato dal tuo blog?

Alessandra: Soprattutto a stimarmi di più. Ho sempre pensato di avere poco da trasmettere alle persone; invece, dai riscontri avuti mi sono accorta che non è così, che quello che dico spesso piace. Ho imparato a vincere la paura di essere insignificante – e non la considero poca cosa.

Gianni: Qual è la storia più bella di cui sei venuta a conoscenza grazie al tuo blog?

Alessandra: Non è una storia di golf. Questo è il post che decisamente considero il più bello tra tutti quelli che ho scritto in tre anni di blog. Non in tutti i post parlo di golf perché i golfisti fanno anche altre cose e cercano la felicità come i tennisti e i ciclisti, come tutte le persone del mondo… In questo post ci sono pillole di felicità, spunti per distinguersi dalla massa e quasi tutti quelli che hanno commentato hanno operato un piccolo miracolo: hanno detto di essere “strani”, cioè hanno riconosciuto la grandezza della loro anima.
Ecco: quel post è riuscito ad estrarre il meglio da tutti coloro che lo hanno letto, e io sono orgogliosa di averlo scritto.

Insomma le mie domande tendevano tutte al golf, e le sue risposte ampliavano il concetto alla vita anche al di fuori dal campo. Come traspare in maniera chiara dalle sue parole, Alessandra è una persona serena e in armonia con se stessa (“Il mio primo obiettivo è la serenità familiare, l’accordo pieno e sinergico con mio marito e la felicità dei miei tre figli”), e io la ringrazio per quel che può dare a tutti noi.

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Feb 25


Ho conosciuto in questi giorni per caso Antonio Burzio, professionista di golf che ha iniziato “alla vecchia maniera”, come dice lui, ovvero facendo il caddie d’estate. Ne ho approfittato per porgli qualche domanda sul golf. Ecco qui la nostra chiacchierata.

Gianni: Puoi raccontare come ti sei avvicinato al golf?
Antonio: Il golf l’ho conosciuto nel modo più classico, ormai in disuso, come caddie. Da ragazzino a Cervinia in estate facevo il caddie come tanti altri miei amici e poi da qualche swing rubato qua e la, magari mentre si aspettava, ho avuto la possibilità di iniziare a giocare e non ho più smesso.

G: Com’è nata e come si è sviluppata l’idea di diventare pro?
A: Il golf l’ho iniziato a 12 anni e però l’ho preso subito molto seriamente, ricordo solo che volevo giocare ad ogni momento e che una domenica di pioggia era un evento catastrofico per me, in quanto non ci sarebbe stata la gara, fosse stato per me avrei giocato con ogni tempo… Diciamo che decidere di diventare Pro è stata una naturale conseguenza di una passione, di una amore veramente forte che avevo e che sento tutt’ora per il golf, anche se purtroppo ora per i molteplici impegni, professionali e privati, gioco veramente poco.

G: Qual è stato il momento che consideri migliore della tua carriera golfistica?
A: Gli anni sotto la guida del mio Maestro-Amico Fulvio Picco. Con lui sono riuscito a togliermi belle soddisfazioni, niente di eclatante raffrontato alle gioie che ci danno i Molinari e Manassero, ma che comunque ricordo con orgoglio. In parallelo vorrei anche cosiderare le soddisfazioni che l’attività di maestro mi ha regalato in circa 13 anni di insegnamento: anche i sorrisi di allievi che sono riusciti ad ottenere un bel risultato sono motivo di soddisfazione.

G: E il punto più basso?
Quello che sentono tutti i golfisti a fine giro, quando va male. L’impressione di aver toccato il fondo e di aver giocato il peggior golf della propria carriera… ma poi il vero golfista è sempre comunque a caccia dietro la pallina.

G: Quali insegnamenti hai tratto dall’uno e dall’altro caso?
A: Dai ricordi positivi ho imparato che quasi tutto è possibile, dipende da noi stessi e dalla nostra convinzione ed impegno. Da quelli negativi che c’è sempre in agguato un altro giorno di golf pessimo, quindi mai lasciarsi affrangere, quello che può sembrare nero ed irrecuperabile a volte si risolve con una semplicità inaspettata.

G: Come vedi il golf italiano, sia professionistico che amatoriale?
A: Per il settore professionistico possiamo solo fare una cosa, goderci lo spettacolo dei nostri Molinari e Manassero augurandoci che altri li raggiungano. Io sono cresciuto seguendo le gesta di Rocca, emozioni intense, io ero incollato allo schermo quando imbucò il putt kilometrico dalla Valley of Sins a St. Andrews e ricordo anche le lacrime di commozione (mie e sue). Credo però che i tempi siano ora molto diversi e che giocare al livello dei nostri tre campioni sia un’impresa formidabile, li ammiro molto, non solo per il loro gioco, ma anche per la loro immagine bella, pulita e serena, sono dei modelli di sportivi che molti giovani farebbero bene a tenere in considerazione piuttosto che uno dei tanti calciatori pazzi e stravaganti (per non dire altro…).
Per il settore amatoriale vedo una situazione di stallo. Si fa molta promozione ma poi le barriere ci sono ancora e sono invalicabili. Purtroppo in Italia siamo abiutati a campi comunque molto belli e di conseguenza costosi, quindi non vedo chance che il golf possa essere più economico di quanto sia ora. La soluzione sarebbe solo quella di iniziare a costruire campi a basso profilo che consentano green-fees intorno ai 10-15 euro al massimo.

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